Corriere di Verona

«Il calcio, grande amore E quei capelli in omaggio a Meroni»

PIPPO FILIPPI QUARANT’ANNI FA L’EPOPEA DEL REAL VICENZA

- di Daniele Rea

Ci sono mille motivi per correre. Per passione, per paura. Per acchiappar­e al volo un treno. A volte corri per lavoro, capita pure questo. Ma puoi anche correre per gli altri. Quella di Roberto Filippi, campione silenzioso del pallone italiano, è stata una corsa lunga vent’anni. Vent’anni di profession­ismo per «Furia», 169 centimetri e pochi chili di nervi, velocità ma anche di classe e di talento. Talento partito con il Chioggia nel 1968, a vent’anni, e chiuso al Lanerossi Vicenza nel 1987.

Un circuito aperto con Rivera e Mazzola e chiuso con Maradona, Platini e il primissimo Roby Baggio. E lui sempre lì, a dare il meglio tra fascia a tre quarti campo, a lato e dietro le punte. A correre e a mettere cross e filtranti rasoterra, che ci fosse Rossi o Savoldi da servire non faceva differenza. E giusto 40 anni fa, Filippi diventa un piccolo idolo con il Real Vicenza di Gibì Fabbri che stupisce il mondo del calcio, arriva secondo in serie A dietro alla Juve e nella memoria degli appassiona­ti diventa una filastrocc­a quasi come la superba Inter di Herrera o il grande Torino: Galli, Callioni, Lelj, Guidetti, Prestanti, Carrera, Cerilli, Salvi, Rossi, Faloppa, Filippi. Era il campionato ‘77-78 e la Rai mandava in onda le prime trasmissio­ni a colori. Tant’è. Un’altra Italia, un altro calcio, un altro mondo. Dove un ragazzo con i capelli lunghi e i baffi da pirata non passava inosservat­o.

Filippi, partiamo da Padova e dal Padova, dove c’è un ragazzino che pensa quasi solo al pallone...

«Parrocchia della Murialdina, avevo 11 o 12 anni, pallone tra i piedi da mattina a sera. Niente di organizzat­o, tanta passione. Finché con un amico vado a fare uno dei provini al Padova».

Allo stadio Appiani, ovviamente.

«All’Appiani, sì. E chi lo aveva mai visto prima? Eravamo forse centocinqu­anta ragazzini. A vederci c’era Mariano Tansini, un monumento del calcio giovanile padovano. Io avevo un paio di scarpini presi in prestito, non proprio puliti... Tansini nemmeno mi fa scendere in campo e ritorno a casa senza aver giocato».

E quindi?

«E quindi mi dico “col cavolo che ritorno qui”. E invece la volta dopo sono puntuale al campo. Scarpini scintillan­ti, questa volta. Mi chiamano per ultimo ma sono il primo ad essere scelto».

E inizia la trafila alle giovanili...

«Anni bellissimi. Dai pulcini fino all’esordio in serie C. Poi a Chioggia e di nuovo al Padova tre anni. Nel 1972 mi vuole il Bologna, in serie A. Esordisco, gioco tre partite e mi girano alla Reggina, in B. Due anni lontano da casa, non è stato facile. Poi torno a Padova altre due stagioni».

La famiglia l’ha assecondat­a nel fare il calciatore?

«I miei erano operai, famiglia umile e dignitosis­sima. Nessuno mi ha mai spinto e nessuno mi ha fermato».

Cosa ricorda dell’Appiani?

«Grande atmosfera, pubblico esigente, attaccati al campo, ti sembrava di sentire il respiro della gente. Anni molto intensi e molto belli».

E poi l’epopea del Vicenza, dove arriva maturo, a 28 anni.

«Partiamo in B e vinciamo il campionato. C’era Paolo Rossi, già allora mostrava un talento e un fiuto per il gol pazzeschi. Tante vittorie, tante soddisfazi­oni».

E nasce la leggenda del Real Vicenza: come la ricorda?

«Grande squadra. E un grande uomo come Fabbri. Per me è stato allenatore, padre, confessore, amico. Metteteci quello che volete».

Come nasce il soprannome di «Furia»?

«Per il mio modo di giocare, di correre senza sosta, immagino... Ero piccolino e leggero, ai tempi il fisico contava molto. Ma ero caparbio, amavo il calcio e per me era prima di tutto divertimen­to puro».

E poi c’era Rossi...

«Chi lo ha visto in quegli anni ha visto, dico io, il Rossi più autentico. Un falco in area. Quell’anno segnò 24 gol in 30 partite, non so se mi spiego, con il Vicenza poi, che era ancora più difficile visto che non eravamo una grande». I capelli, Filippi, li dimentichi­amo?

«Certo che no. Li portavo lunghi già da ragazzino, mi piaceva. Poi ci ho aggiunto i baffi. Sono stato il primo “capellone” del calcio...»

Solo estetica quindi?

«Mi piaceva, l’ho detto. E così comunque li portava anche Gigi Meroni, che per me era un idolo assoluto, per come giocava e come si muoveva in campo».

Niente contestazi­one anni’70?

«Ma quale contestazi­one... Facevo il lavoro più bello del mondo e mi pagavano bene: cosa avrei dovuto contestare?».

Da Vicenza a Napoli: come ha vissuto il salto nella grande città?

«A Vicenza stavo bene, io amo le città piccole, ma sono stato bene alla fine anche a Napoli, davvero. All’inizio gli 80.000 del San Paolo facevano un po’ impression­e, lo ammetto, poi ci ho fatto l’abitudine».

Filippi, lei ha vinto per due stagioni di seguito il Guerin d’oro, come miglior calciatore della serie A...

«All’epoca c’erano grandi campioni in serie A, di sicuro molto ma molto più forti di me. Vuol dire che qualcosa di buono ho fatto e di questo sono molto orgoglioso».

Tra Napoli, Atalanta e Cesena in serie A lei ha battagliat­o con i più grandi dell’epoca: che effetto fa a ripensarci ora?

«Ci penso poco adesso. Certo, c’erano Falcao, Zico, Boniek, Platini, Rummenigge, Cerezo, Socrates... Insomma, non è che i fuoriclass­e ci siano solo adesso eh... Facevano quello che volevano con la palla. Magari più lenti rispetto ad ora ma sulla tecnica c’è poco da discutere».

E Filippi?

«E Filippi correva. D’altra parte non potevi pensare di competere con questi fenomeni sul piano della tecnica o del palleggio».

Lei ha smesso nel 1987, quando è tornato al Vicenza. Quasi una nemesi, ha chiuso dove è esploso al grande calcio...

«Avevo 39 anni, ho capito che era il momento di staccare. Fosse per me avrei giocato altri dieci anni ma devi fare i conti con il fisico».

Il calcio lo segue ancora?

«Poco, ho allenato per qualche anno ma non faceva per me, soffrivo troppo in panchina... Adesso guardo qualche partita, possibilme­nte con l’audio spento. Troppa enfasi, anche un passaggio a cinque metri sembra una cosa incredibil­e, non mi piace».

Cosa fa adesso Pippo Filippi?

«Ho 70 anni, faccio il nonno e conduco una vita bella tranquilla. Tutto qui».

Cosa le resta, se si guarda dentro, di vent’anni di grande calcio?

«Divertimen­to, prima di tutto. Una passione che mi ha dato da vivere serenament­e. Ma non ho mai buttato i soldi o fatto il gradasso. Vengo da una famiglia umile, capisco il valore delle cose quando ti mancano. E gli amici di adesso sono quelli di quando ero ragazzino. A me sembra la cosa che conta di più».

 ??  ?? Istantanee In Real Vicenza di Fabbri: Filippi al centro nella fila accosciata, con i capelli lunghi e baffi: Paolo Rossi è il quinto da sinistra in piedi. Sotto Filippi al Napoli con Franco Cerilli, ex compagno di squadra al Lane
Istantanee In Real Vicenza di Fabbri: Filippi al centro nella fila accosciata, con i capelli lunghi e baffi: Paolo Rossi è il quinto da sinistra in piedi. Sotto Filippi al Napoli con Franco Cerilli, ex compagno di squadra al Lane
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy