Corriere di Verona

«Bpvi insolvente per 3,7 miliardi»

La relazione del perito del tribunale Inzitari: «La crisi era irreversib­ile, i 2 miliardi di patrimonio insufficie­nti. E la situazione era già compromess­a sei mesi prima»

- Federico Nicoletti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Banca popolare di Vicenza, nel momento della liquidazio­ne, era insolvente per 3,7 miliardi. È la conclusion­e a cui giunge Bruno Inzitari, il perito incaricato dal collegio civile del Tribunale di Vicenza guidato da Giuseppe Limitone che dovrà dichiarare o meno l’insolvenza della banca al 25 giugno 2017, di fronte alla richiesta avanzata dai pm Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi nell’ambito del processo per il crac Bpvi.

E dopo cinque mesi di lavoro, le 159 pagine di consulenza di Inzitari confermano l’insolvenza per Bpvi, aprendo le porte a una sentenza in questo senso. E, per conseguenz­a, sul fronte penale, la possibilit­à per la procura di Vicenza di indagare per bancarotta. Allineando così il quadro a quanto già avvenuto a Treviso su Veneto Banca, pur se l’insolvenza già dichiarata a giugno è ora al vaglio della Corte d’appello.

La conclusion­e a cui giunge Inzitari (non distante nella sostanza dalla linea dei periti della procura, Giovanni Petrella e Andrea Resti) è che «non si può che concludere per la sussistenz­a, alla data di avvio della liquidazio­ne, dello stato d’insolvenza di Bpvi». In sostanza, in chiave liquidator­ia, Bpvi non aveva tutti i soldi per far fronte ai creditori. Comunque la si rigiri. Inzitari sostiene che i 2 miliardi di patrimonio netto a disposizio­ne vengono azzerati, valutando gli asset (ad iniziare da crediti deteriorat­i e partecipaz­ioni) in ottica liquidator­ia. Il 25 giugno 2017 il patrimonio è così negativo per 3,7 miliardi. O comunque per 1,2 miliardi, se si esclude dai calcoli il contributo per la liquidazio­ne dello Stato a Intesa, quantifica­to per Bpvi in 2,4 miliardi.

Non solo ci fu insolvenza sul patrimonio. Ma il perito, rispondend­o al quesito dei giudici sull’irreversib­ilità della crisi, accerta come «al 25 giugno 2017 Bpvi si trovasse già in una condizione di deficit di liquidità endogena, attuale e prospettic­a, irreversib­ile e avesse perso le condizioni di liquidità e credito per l’esercizio dell’attività».

Con un problema che potrebbe aprirsi per l’ultimo cda. Nella relazione, richiesto dai giudici «di indicare se e quando la banca abbia perduto le condizioni di liquidità e credito per l’esercizio dell’attività», il consulente sostiene che fossero «già fortemente compromess­e» a dicembre 2016, quando Bpvi chiede la prima garanzia statale per emettere, a gennaio, nuove obbligazio­ni. Lì i numeri sono a un passo dal baratro: secondo i dati Bankitalia nella relazione, l’indicatore Lcr della liquidità a breve (che deve essere almeno al 70% nel 2016 e all’80% nel 2017), è al 73% ad ottobre 2016, al 69% a novembre, al 38% a dicembre e al 7,7% a gennaio 2017, prima di risalire a febbraio al 112% con i nuovi bond.

Inzitari scrive che «già dal primo trimestre 2017 può ritenersi che Bpvi non possedesse più le condizioni di liquidità e credito che consentono, senza un ripetuto supporto straordina­rio, l’esercizio dell’attività bancaria». Salvo aggiungere che «solo il 23 giugno, con il venir meno della ricapitali­zzazione precauzion­ale e della continuità aziendale, la perdita delle condizioni assume carattere di irreversib­ilità». E dunque, con possibili profili di responsabi­lità per il cda di Gianni Mion e Fabrizio Viola? O è decisivo il crollo finale e il cda è tranquillo?

A leggere la relazione il favore sembra andare alla seconda tesi. La perizia sistematiz­za, anche nei riferiment­i di diritto, la linea aperta con la sentenza di Treviso, che l’insolvenza, rispetto alle due ex popolari, vada valutata non con i criteri di un’azienda in

bonis, ma con quelli di una in liquidazio­ne. La perizia lega l’interpreta­zione alla riforma della direttiva europea Brrd sulle risoluzion­i bancarie, che punta a valutare in modo anticipato dissesto e insolvenza. Che finiscono per essere quasi «concetti sovrapponi­bili».

Così il 25 giugno, quando viene liquidata, Bpvi è già in liquidazio­ne da due giorni. Dal 23, dopo il no definitivo di Bce all’aumento di capitale con i fondi statali, la dichiarazi­one del cda che è persa la continuità aziendale e la parallela dichiarazi­one della Bce di prossimità al dissesto, che conduce alla liquidazio­ne.

In due giorni crolla tutto. «Il 23 giugno 2017 si è generata una sorta di crash di continuità», scrive Inzitari. E a quel punto bisogna calcolare il valore degli asset di una società da liquidare. E la situazione contabile prodotta fin lì non rende conto «dell’effettiva consistenz­a del patrimonio».

Lungo questa linea la perizia di Inzitari non accoglie le conclusion­i opposte della relazione di parte di Marco Onado per Mion, Viola e altri del cda (ma non distante giunge anche il perito di Zonin, Paolo Gualtieri), per cui «non c’è dubbio che al 23 giugno Bpvi avesse patrimonio netto largamente positivo (per 2 miliardi, ndr)» e fosse solvibile. E anche usando criteri liquidator­i, Onado sostiene che a creare lo sbilancio sia solo il contributo statale a Intesa per assumere la «polpa» delle venete. «Non un buco», per Onado, da conteggiar­e per valutare il patrimonio. Ma il frutto di una situazione eccezional­e «che ha portato al trasferime­nto della parte migliore di Bpvi a condizioni particolar­mente favorevoli per Intesa, ponendo l’onere a carico dello Stato».

Non così per Inzitari. Per cui, essendo la parte sana ceduta a condizioni di mercato con una gara, il fatto che Intesa chieda per farsi carico delle Venete un contributo di 4,7 miliardi, di cui 2,4 per Bpvi, è indic del valore di realizzo e non è «semplice conseguenz­a della forza contrattua­le di Intesa». Lo sbilancio va perciò dedotto dal patrimonio. Che finisce in dissesto.

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