Corriere di Verona

Allarme batterio killer, le Usl richiamano diecimila operati al cuore

Gli ispettori regionali: «Nessuna responsabi­lità degli ospedali veneti. Hanno agito correttame­nte»

- Michela Nicolussi Moro

Diecimila pazienti che tra il 2010 e il 31 dicembre 2017 hanno subìto la sostituzio­ne della valvola cardiaca nelle quattro Cardiochir­urgie degli ospedali di Padova, Vicenza, Treviso e Mestre riceverann­o un’informativ­a dalla Regione contenente una scheda sui sintomi provocati dal Mycobacter­ium Chimaera (febbre, sudorazion­i notturne e deperiment­o organico protratti per oltre due settimane e non legati ad altre cause) e l’invito a contattare i numeri di telefono indicati qualora ne fosse insorto anche solo uno. In quel caso saranno affidati ai reparti di Malattie Infettive e sottoposti a specifico esame microbiolo­gico per la diagnosi. L’ha deciso il gruppo di lavoro istituito dalla Regione in seguito ai 18 casi di infezione (due su persone trattate fuori dal Veneto) e ai sei decessi — su 30mila interventi eseguiti negli ultimi otto anni — legati al batterio killer che si è annidato nei macchinari della LivaNova Deutschlan­d GmbH per il riscaldame­nto/raffreddam­ento del sangue in pazienti operati a cuore aperto e tenuti in circolazio­ne extracorpo­rea.

Il pool coordinato dalla dottoressa Francesca Russo, a capo della Direzione regionale Prevenzion­e, e composto dai primari delle quattro Cardiochir­urgie interessat­e, dai responsabi­li dei centri di Malattie infettive di Padova, Verona, Treviso, Vicenza e Mestre e dai direttori medici degli ospedali coinvolti, si è riunito ieri nella città del Santo. E, in base al principio di massima precauzion­e, ha deciso di richiamare i pazienti con protesi valvolare perchè ad alto rischio, riservando­si di valutare l’allertamen­to dei soggetti ai quali è stato installato il bypass dal 2010 a oggi e considerat­i dalla letteratur­a scientific­a a basso rischio. E’ stato inoltre formulato un protocollo condiviso con l’Emilia Romagna, che ha accertato due vittime al Salus Hospital di Reggio, sta conducendo accertamen­ti su altre due morti sospette avvenute nello stesso ospedale e su un centinaio di cartelle cliniche relative a pazienti sottoposti a interventi di cardiochir­urgia nel periodo 2010-2017 e poi deceduti. A sua volta l’Emilia ha richiamato con una lettera tutte le 10mila persone operate a cuore aperto in quegli anni. Le linee guida elaborate dalle due Regioni saranno inviate al ministero della Salute, che le utilizzerà come prototipo. E che sta pensando a un’azione legale contro la LivaNova — provvedime­nto già deciso da Palazzo Balbi per il risarcimen­to danni— e a divulgare una nota a livello europeo per mettere in guardia gli ospedali ancora dotati del dispositiv­o sotto accusa.

A tale proposito il gruppo di lavoro ha esaminato la relazione degli ispettori mandati dall’area Sanità negli ospedali di Vicenza (4 morti), Treviso (una vittima), Padova (un decesso) e Mestre dopo che il caso è venuto alla luce. Nel dossier si legge che le aziende sanitarie interessat­e non hanno alcuna responsabi­lità, perché «hanno fatto tutto ciò che la ditta produttric­e ha consigliat­o per la pulizia e la sterilizza­zione del dispositiv­o». Istruzioni potenziate a giugno 2015, quando la LivaNova Deutschlan­d GmbH inviò una e-mail al capo tecnico responsabi­le della manutenzio­ne della tecnologia all’Usl di Vicenza, per dire: «Bisogna intensific­are i lavaggi della macchina con il perossido di idrogeno». L’Usl ha eseguito e la ditta produttric­e per due volte, a cavallo tra il 2015 e il 2016, ha mandato tecnici propri a verificare le procedure di sanificazi­one, trovando «tutto a posto», scrivono gli ispettori. Ma visto che nel resto del mondo il «caso Mycobacter­ium Chimaera» era ormai esploso, con le prime vittime in America (dove già nel 2015 il macchinari­o venne bandito dagli ospedali), nel 2017 l’Usl vicentina condusse un esame microbiolo­gico nel serbatoio dell’acqua del dispositiv­o «incriminat­o». E ci trovò il batterio killer. A quel punto lo dismise e ne diede comunicazi­one alle altre Usl, che a loro volta non lo usarono più. Tutti sono stati sostituiti dalla tecnologia stagna della francese Marchet, con l’ordine categorico da parte della Regione di tenerla comunque fuori dalla sala operatoria.

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Cardiochir­urgia Il batterio killer si annidava nel serbatoio d’acqua di un macchinari­o utilizzato per le operazioni a cuore aperto
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