Bpvi, via al maxi processo veneto
Ieri a Vicenza la prima udienza, quasi ottomila parti civili. Proteste fuori dal tribunale contro Zonin e i manager Popolare, nessun imputato in aula. L’accusa chiama 185 testi, compresi gli 007 di Bankitalia
Si è aperto ieri il processo agli ex vertici della Banca Popolare di Vicenza. Nessuno degli imputati era presente. Quasi 8mila soci hanno chiesto di costituirsi parte civile, e alcuni di loro hanno protestato fuori dal tribunale berico. Intanto i pm si preparano a chiamare a deporre 185 testimoni, compresi imprenditori e ispettori di Bankitalia e Bce.
Ieri, per gli ex manager della Popolare di Vicenza, è iniziato «il Processo». Quello con la «P» maiuscola, e non soltanto perché è il più grande della storia giudiziaria del Veneto (in Italia, probabilmente, è secondo solo a quello istruito in seguito al crac Parmalat): quasi ottomila parti civili, un esercito di quattrocento avvocati, sessanta tra poliziotti, impiegati, volontari - c’erano perfino gli Alpini solo per gestire l’ordine pubblico e la «macchina» amministrativa.
È molto di più. È il Processo che, inevitabilmente, trascina in tribunale il tema del risparmio tradito, dello strapotere delle banche e di un sistema che doveva vigilare e che invece è intervenuto solo quando il disastro era divenuto ineluttabile.
Alle 7.45 sono stati aperti i cancelli, lasciando entrare i primi avvocati e i risparmiatori arrivati da mezza Italia per assistere all’udienza. Molti di loro speravano di poter vedere in faccia l’ex presidente Gianni Zonin e i cinque tra dirigenti e componenti del cda della banca finiti sotto processo (il Dg Samuele Sorato è ancora fuori dai giochi, per problemi di salute) ma nessuno dei sei imputati si è fatto vedere. E così è andata in scena l’ennesima protesta pacifica: fuori dal Palazzo di Giustizia sono spuntati striscioni («Aiutateci a riavere i nostri risparmi»), cartelli («Chi ha rubato deve essere imprigionato») e slogan contro Zonin, per il quale «finalmente è giunta l’ora del giudizio terreno». C’era anche Marin Haralambie, il disabile romeno che lo scorso anno aveva avviato una clamorosa protesta, vivendo per un mese nella sua auto parcheggiata di fronte all’ex sede storica di Veneto Banca, a Montebelluna. «I soci vicentini mi hanno sempre sostenuto - spiega - ho voluto portare loro la mia solidarietà».
Mentre all’esterno le forze dell’ordine sorvegliavano i manifestanti, all’interno del tribunale buona parte della mattinata trascorreva in lunghe code, per consentire ai legali di depositare le costituzioni di parte civile, compreso il Comune di Vicenza che lamenta un danno all’immagine dell’intera città. Alla fine, le presunte vittime che chiamano in causa gli imputati sono più di 7.700: ai 5.200 soci che già si erano fatti avanti nel corso dell’udienza preliminare, se ne sono aggiunti altri 2.520.
L’udienza vera e propria è iniziata alle 11.29, con l’ingresso del collegio presieduto dal giudice Lorenzo Miazzi. Di fronte, i due pm titolari dell’inchiesta - Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi - e la schiera di avvocati chiamata a difendere gli ex manager (ma anche la stessa Bpvi) da accuse che vanno dall’aggiotaggio all’ostacolo all’attività degli or- gani di vigilanza bancaria.
«Era ora che si iniziasse a fare sul serio - freme Enrico Ambrosetti, il legale di Zonin - finalmente potrà emergere la verità processuale: l’ex presidente non ha avuto alcuna colpa per il default della Popolare». Allo stesso modo la vede Lino Roetta, il difensore dell’ex vicedirettore generale Paolo Marin: «Il mio cliente ha sempre voluto affrontare