I conti e i giudizi sono cambiati ma anche la città E per sempre
Giudicate voi. L’avvocato Dino De Poli se ne va così, lasciandoci con un compito che è principalmente politico, un po’ culturale, alla fine anche economico ma la verità è che presto diventerà materia da storici. Perché l’avvocato trevigiano, ultimo leone democristiano sopravvissuto alla morte del suo partito e dei suoi eredi, ha conservato il potere e la guida di Fondazione Cassamarca per ben 26 anni. Un quarto di secolo che ha cambiato per sempre la città di Treviso.
Giudicate voi dice, ma il giudizio sulla storia è figlio del tempo. Come ci dice Carr nelle sue memorabili «Sei lezioni», la storia è «un dialogo senza fine tra il presente e il passato» e quello che vediamo oggi potremmo guardarlo con occhi diversi domani. Però la sfida va colta e affrontata senza pregiudizi pur sapendo che resta un tentativo. E il risultato provvisorio.
Proviamo a partire dai fatti storici. La città rispetto agli anni Ottanta si è trasformata grazie al contributo e ai denari veicolati da quello che è stato il vero sindaco ombra. Anzi, a ben pensare, il termine ombra ci ricorda quei ministri dell’opposizione senza denari nati come cani da guardia del vero potere mentre qui il rapporto era inverso. De Poli ha portato in città idee e progetti che i veri sindaci hanno vidimato perché De Poli aveva i soldi della banca. Ha aperto e finanziato le grandi mostre di Ca’ dei Carraresi che grazie alle capacità del curatore Goldin sono diventate fenomeno culturale e turistico. Nel 2003 quella sugli impressionisti fece più visitatori degli Uffizi: seicentomila biglietti. Un cambiamento enorme per una città di provincia ritrovatasi all’improvviso al centro dei grandi itinerari culturali italiani.
Un fatto sono i teatri restaurati, dal Comunale di Treviso all’Eden, dal Da Ponte di Vittorio Veneto al Teatro delle Voci; un fatto sono gli innumerevoli palazzi storici recuperati (il Monte di Pietà ad esempio), le tante chiese e ville (Villa Franchetti). Fondazione ha innaffiato la città con decine e poi centinaia di milioni di euro come nessun sindaco avrebbe potuto. Soldi destinati a cultura e difesa del patrimonio architettonico in un periodo in cui la Lega non aveva la cultura in cima ai suoi pensieri. Fino al salto di qualità: la metamorfosi urbanistica.
Non è stato il Quartiere latino, ad oggi incantevole gioiello del centro storico, sede residenziale, commerciale ma soprattutto universitaria, una delle passeggiate lungo il Sile più belle del Veneto. Meraviglioso a detta anche dei nemici. È stata la Cittadella delle Istituzioni a diventare l’elemento divisivo e forse decisivo nella vita di Fondazione. Perché sì, sono state un po’ contestate anche mostre e restauri, ma una minima contrapposizione è collaterale a tanto dinamismo. La vera scossa è stata la partita dell’Appiani. Se non siete trevigiani pensate un po’ alla vostra piazza, al vostro municipio con il suo corso e i suoi palazzi e pensate di duplicarlo fuori mura, di creare un secondo punto focale per «il secolo nuovo». Per qualcuno il centro si è svuotato un po’ troppo e la scossa ha prodotto strappi.
Anche nei conti. Perché un fatto è che i conti di Fondazione oggi sono davvero brutti e potrebbero aprire la stagione della decadenza. E magari chiudere una parte di quel patrimonio restaurato e restituito alla città negli anni in cui De Poli era il Re Sole.
Qui bisogna fare un passo indietro e spiegare che la fontana del Re era alimentata da una sorgente azionaria. Fondazione aveva in cassaforte una quota percentuale di Unicredit e dalle cedole ricavava decine di milioni l’ anno. Ad un certo punto la crisi generale e delle banche ha ridotto e poi azzerato le cedole. Rallentare i progetti non è bastato perché comunque c’erano le spese di gestione. Col senno di poi c’è chi ha detto che un padre di famiglia che ha centomila euro di risparmi in banca non investe centomila euro in azioni di Unicredit o di Fiat o di chissà cos’altro qualsiasi sia il legame che ha avuto con queste società ma con il senno di poi sono bravi tutti. È un fatto però che qualcosa non ha funzionato. Ed è per questo che oggi il giudizio storico sull’operato di De Poli, per anni ammirato dai più, non può non tenere conto della pesante ipoteca sul futuro lasciata dai conti.
Giudicate voi, io un’idea ce l’ho ma la tengo per me ha detto l’avvocato. Col rischio di mal interpretarlo l’idea potrebbe essere questa: i conti cambiano di continuo, la città è cambiata per sempre. La storia dirà chi aveva ragione e il rischio, a sentire Carr, è che la risposta non sia sempre la stessa.