Lo spettro della liquidazione e la fusione «di sistema» Fondazione di fronte al bivio
Le mosse del cdi e il cambio epocale nell’Acri: sei mesi decisivi
Lo spettro della liquidazione e la via stretta del salvataggio. Nel novero di una soluzione di sistema per le Fondazioni sull’orlo del crac, da attrezzare dopo il riassetto dell’Acri che seguirà, ad aprile, all’uscita del presidente Giuseppe Guzzetti. È lo scenario che attende Fondazione Cassamarca, all’indomani della fine dell’èra De Poli e della partita sulla nuova presidenza. Perché è chiaro che l’attesa è che ora lo scoglio, lasciato fin qui a macerare, va affrontato e risolto. Non a breve, ma nel 2019, quando si potrebbero aprire le finestre per intervenire.
Cassamarca, a quel punto, non dovrà farsi trovare impreparata. La prima mossa spetta alla nuova gestione. E se la guida toccherà all’avvocato Luigi Garofalo, l’attesa è che faccia chiarezza. In via definitiva sui numeri. Ma anche nello stabilire una via chiara per salvare il salvabile, dopo che Cassamarca ha bruciato il miliardo di euro con cui partì nel 1992.
I dati del bilancio 2017, specie nel giudizio dei sindaci che non l’hanno approvato per il secondo anno, sono molto crudi. E la stessa doppia sospensione, con l’invito nella relazione «a valutare i necessari provvedimenti», segnala che i sindaci s’aspettano mosse drastiche. Anche perché, per prassi nella revisione, a due sospensioni di giudizio non può seguirne una terza; ma un’eventuale bocciatura suonerebbe come una sconfessione clamorosa.
Il bilancio 2017 segna un conto economico in «rosso» per 53 milioni; ma la perdita di patrimonio netto è ben più ampia: 180 milioni. E c'è il macigno dei 182 milioni che la Fondazione deve restituire entro la prima metà del 2020 a Unicredit. Di questi, coperti da una fidejussione della Fondazione, 152 sono della controllata Appiani 1, che detiene il patrimonio immobiliare. Qui il problema è doppio: delle vendite annunciate da tempo per coprire i debiti, scrivono i sindaci, non c’è traccia; e anche arrivassero, resta dubbio se le entrate siano in linea con i dati iscritti a bilancio. In ballo non solo i 150 milioni di Unicredit, ma anche i 48 di finanziamento che Appiani 1 deve alla Fondazione. Il rischio è che si apra una crisi a catena.
Il più chiaro, come sempre, resta l’avvocato Massimo Malvestio: «La Fondazione ha debiti per 220 milioni, a cui può contrapporre investimenti finanziari liquidabili per cento e un patrimonio immobiliare a cui, come minimo, è difficile dare un valore: quanto vale e chi si compra il teatro dell’Appiani? E Ca’ Zenobio? E il Monte di Pietà? È chiaro che non c’è scampo: devono liquidare la Fondazione. Il resto sarebbe accanimento terapeutico».
Nemico storico di De Poli, si dirà. Salvo che Malvestio aveva detto per tempo che sarebbe finita così. E il giudizio finale resta duro: «La svalutazione delle azioni Unicredit ha fatto danni e non la si può imputare a De Poli. Ma che dovesse diversificare gli investimenti, come suggerivano prudenza e legge, e non l’abbia fatto, sì. Così come che non abbia rispettato il limite di legge sul patrimonio investito in immobili (al massimo è stato del 15%, ndr) . Qui non c’è nulla di geniale, ma solo un patrimonio dilapidato».
Resta da capire se sia percorribile il salvataggio con una fusione, se il nuovo cda dovesse chiederlo. In Veneto potrebbero sostenerla solo le Fondazioni di Verona e Padova, entrambe con patrimoni vicini ai 2 miliardi. Ma i presidenti di Cariverona e Cariparo, Alessandro Mazzucco e Gilberto Muraro, si sono già detti nel recente passato contrari. «Sarebbe autolesionistico», ha detto il primo. «Il nostro territorio a è tra Padova e Rovigo», ha detto il secondo. Ma è chiaro che una richiesta di aiuto rivolta al Coordinamento delle Fondazioni del Nordest non potrebbe rimanere inevasa. La soluzione potrebbe essere un piano di erogazioni su Treviso per un certo periodo, a fronte di piani di risanamento. O l’inserimento di Treviso tra i territori di Verona e Padova, lasciando Cassamarca alla liquidazione. Una fusione salvifica sarebbe più complicata. E chiamerebbe in causa la nuova Acri post-Guzzetti. Perché va verificata la possibilità di un piano organico di fusioni che salvi molte realtà agonizzanti. Con cui andare magari a chiedere sconti fiscali al governo per chi interviene. Ma l’esecutivo giallo-verde fin qui non ha dato segni di disponibilità. Ma forse anche per questo c’è ancora tempo per lavorarci su.