Corriere di Verona

Lo spettro della liquidazio­ne e la fusione «di sistema» Fondazione di fronte al bivio

Le mosse del cdi e il cambio epocale nell’Acri: sei mesi decisivi

- Federico Nicoletti

Lo spettro della liquidazio­ne e la via stretta del salvataggi­o. Nel novero di una soluzione di sistema per le Fondazioni sull’orlo del crac, da attrezzare dopo il riassetto dell’Acri che seguirà, ad aprile, all’uscita del presidente Giuseppe Guzzetti. È lo scenario che attende Fondazione Cassamarca, all’indomani della fine dell’èra De Poli e della partita sulla nuova presidenza. Perché è chiaro che l’attesa è che ora lo scoglio, lasciato fin qui a macerare, va affrontato e risolto. Non a breve, ma nel 2019, quando si potrebbero aprire le finestre per intervenir­e.

Cassamarca, a quel punto, non dovrà farsi trovare impreparat­a. La prima mossa spetta alla nuova gestione. E se la guida toccherà all’avvocato Luigi Garofalo, l’attesa è che faccia chiarezza. In via definitiva sui numeri. Ma anche nello stabilire una via chiara per salvare il salvabile, dopo che Cassamarca ha bruciato il miliardo di euro con cui partì nel 1992.

I dati del bilancio 2017, specie nel giudizio dei sindaci che non l’hanno approvato per il secondo anno, sono molto crudi. E la stessa doppia sospension­e, con l’invito nella relazione «a valutare i necessari provvedime­nti», segnala che i sindaci s’aspettano mosse drastiche. Anche perché, per prassi nella revisione, a due sospension­i di giudizio non può seguirne una terza; ma un’eventuale bocciatura suonerebbe come una sconfessio­ne clamorosa.

Il bilancio 2017 segna un conto economico in «rosso» per 53 milioni; ma la perdita di patrimonio netto è ben più ampia: 180 milioni. E c'è il macigno dei 182 milioni che la Fondazione deve restituire entro la prima metà del 2020 a Unicredit. Di questi, coperti da una fidejussio­ne della Fondazione, 152 sono della controllat­a Appiani 1, che detiene il patrimonio immobiliar­e. Qui il problema è doppio: delle vendite annunciate da tempo per coprire i debiti, scrivono i sindaci, non c’è traccia; e anche arrivasser­o, resta dubbio se le entrate siano in linea con i dati iscritti a bilancio. In ballo non solo i 150 milioni di Unicredit, ma anche i 48 di finanziame­nto che Appiani 1 deve alla Fondazione. Il rischio è che si apra una crisi a catena.

Il più chiaro, come sempre, resta l’avvocato Massimo Malvestio: «La Fondazione ha debiti per 220 milioni, a cui può contrappor­re investimen­ti finanziari liquidabil­i per cento e un patrimonio immobiliar­e a cui, come minimo, è difficile dare un valore: quanto vale e chi si compra il teatro dell’Appiani? E Ca’ Zenobio? E il Monte di Pietà? È chiaro che non c’è scampo: devono liquidare la Fondazione. Il resto sarebbe accaniment­o terapeutic­o».

Nemico storico di De Poli, si dirà. Salvo che Malvestio aveva detto per tempo che sarebbe finita così. E il giudizio finale resta duro: «La svalutazio­ne delle azioni Unicredit ha fatto danni e non la si può imputare a De Poli. Ma che dovesse diversific­are gli investimen­ti, come suggerivan­o prudenza e legge, e non l’abbia fatto, sì. Così come che non abbia rispettato il limite di legge sul patrimonio investito in immobili (al massimo è stato del 15%, ndr) . Qui non c’è nulla di geniale, ma solo un patrimonio dilapidato».

Resta da capire se sia percorribi­le il salvataggi­o con una fusione, se il nuovo cda dovesse chiederlo. In Veneto potrebbero sostenerla solo le Fondazioni di Verona e Padova, entrambe con patrimoni vicini ai 2 miliardi. Ma i presidenti di Cariverona e Cariparo, Alessandro Mazzucco e Gilberto Muraro, si sono già detti nel recente passato contrari. «Sarebbe autolesion­istico», ha detto il primo. «Il nostro territorio a è tra Padova e Rovigo», ha detto il secondo. Ma è chiaro che una richiesta di aiuto rivolta al Coordiname­nto delle Fondazioni del Nordest non potrebbe rimanere inevasa. La soluzione potrebbe essere un piano di erogazioni su Treviso per un certo periodo, a fronte di piani di risanament­o. O l’inseriment­o di Treviso tra i territori di Verona e Padova, lasciando Cassamarca alla liquidazio­ne. Una fusione salvifica sarebbe più complicata. E chiamerebb­e in causa la nuova Acri post-Guzzetti. Perché va verificata la possibilit­à di un piano organico di fusioni che salvi molte realtà agonizzant­i. Con cui andare magari a chiedere sconti fiscali al governo per chi interviene. Ma l’esecutivo giallo-verde fin qui non ha dato segni di disponibil­ità. Ma forse anche per questo c’è ancora tempo per lavorarci su.

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