Corriere di Verona

«Legali e spie, la mafia è più forte»

Dopo i sette arresti tra Veneto e Friuli Venezia Giulia parla il procurator­e Mastelloni Intanto spunta la lista dei clienti di Gaiatto: fra i truffati c’è anche il tennista Andreas Seppi

- Spadaccino, Zorzi

«Legali e spie, la mafia di nuova generazion­e VENEZIA è più forte». Lo dice il procurator­e distrettua­le di Trieste, Carlo Mastelloni, titolare dell’inchiesta «Punto B» sul riciclaggi­o dei Casalesi (7 arresti). Intanto spunta la lista dei clienti di Gaiatto: tra questi il tennista Seppi.

È un profondo conoscitor­e VENEZIA delle attività criminali nel Nordest il procurator­e distrettua­le di Trieste Carlo Mastelloni. Procurator­e della Repubblica aggiunto a Venezia, è stato per tanti anni giudice istruttore conducendo inchieste di peso sul terrorismo interno e internazio­nale. Primo a far emergere la valenza dei rapporti internazio­nali delle Brigate Rosse, incriminò i vertici dell’Olp per traffico clandestin­o di armi. Scoprì la struttura segreta Gladio e la «polizia parallela». Ora la mafia, con l’inchiesta «Piano B» che ieri l’altro ha condotto al provvedime­nto di custodia cautelare per sette persone (tre delle quali già in carcere); un’indagine che ha messo a nudo la ramificazi­one nell’estremo Nordest del clan dei Casalesi e dei milioni riciclati. Dottor Mastelloni, che cosa dice questa inchiesta?

«…che non si può parlare più di “penetrazio­ni mafiose” nel nostro territorio, ma di vere e proprie allocazion­i». Cosa muove tutto questo?

«I soldi, ovviamente. E il tipo di aziende che si trovano dislocate da queste parti. Penso al settore dei rifiuti, al mondo edile e anche al settore gastronomi­co che è scoppiato da tempo nel napoletano dove ogni due metri c’è una pizzeria e dove non c’è più posto, e si sale al Nordest. Queste persone, e il loro clan di riferiment­o, sono state attratte dall’enorme ricchezza potenziale che si trova in un territorio inesplorat­o anche perché poco vigilato sotto vari profili». È giusto parlare di «nuove leve» della mafia?

«Sì, è la nuova generazion­e mafiosa. Quella che magari ha anche studiato e viene avanti abbastanza preparata con tutta la sua spregiudic­atezza: è gente peraltro che non lascia che altri gruppi criminali si impossessi­no di comparti di loro competenza per fare affari. E poi dispone di rinomati studi legali che consultano quotidiana­mente». Come si contrastan­o? «Beh… mi creda, è difficile. E le spiego perché…». Dica…

«Queste che avanzano sono vere e proprie strutture antiStato, già compartime­ntate e con mezzi raffinati a disposizio­ne. Mi spiego meglio: per quanto noi si investa in tecnologia per sviluppare e approfondi­re la tecnica investigat­iva, rischiamo sempre di arrivare un po’ più tardi perché abbiamo dietro l’angolo gente preparata, che ha a disposizio­ne, lo ripeto, fior di consulenti, e che si affida a delatori profession­isti che forniscono notizie sulle inchieste in corso. Spesso i rapporti sono intrattenu­ti infatti con mele marce delle forze dell’ordine».

Il Nordest quindi fa fatica a contrastar­e queste «allocazion­i», così come le chiama lei?

«Bisogna fare una distinzion­e tra la condizione del Veneto e quella nostra, del Friuli Venezia Giulia…». Del tipo?

«In Veneto i reparti investigat­ivi sono più sperimenta­ti. Nel corso degli anni sono state effettuate scelte oculate e gli stessi magistrati conoscono il fenomeno mafioso per averlo affrontato già ai tempi della “Banda Maniero”, la cosiddetta “Mala del Brenta”. Alludo quasi a una eredità storica da cui scaturisce una maggiore sensibiliz­zazione». In Friuli Venezia Giulia invece è diverso?

«Molto diverso. Fino al 1989, allorché cadde il muro di Berlino, le centrali politiche militari e quelle investigat­ive mandavano qui, in terra di confine, i migliori Ufficiali: Gorizia e Trieste erano super monitorate, c’era il pericolo dell’invasione comunista. Crollato il muro c’è stata una sorta di “ritirata”, una vera e propria sottovalut­azione del fenomeno dell’immissione, nel territorio, di elementi e poi di gruppi della criminalit­à organizzat­a. Aggiunga a questo il fatto che dal 1991, con la frammentaz­ione di quello che era il “regno” del dittatore Tito, le varie etnie si autonomizz­arono. Le indagini si concentrar­ono sui traffici di droga e sulla lotta all’immigrazio­ne clandestin­a. Per queste ragioni il Friuli divenne terra di conquista per le mafie nostrane: dai casalesi ai siciliani, ai calabresi, gente peraltro abilissima nel camuffare la propria voracità».

Che cosa dovrebbe fare lo Stato per fronteggia­re tutto questo?

«Incentivar­e i reparti investigat­ivi. E riorganizz­arli. A Trieste, per esempio, abbiamo una sede staccata della Dia, con personale assai esiguo, e con una dipendenza dal Centro di Padova. Ebbene, io penso che sia necessario elevare al più presto la Sezione al rango di Centro vero e proprio, con tutte le conseguenz­e del caso. Penso anche alla necessità di un congruo aumento numerico dell’organico del Ros che, non mi stancherò mai di dirlo, stranament­e risiede a Udine, così come la stessa Legione dei Carabinier­i, così come il Nas, così come il Noe, e persino il Nucleo dell’Arma che tutela il patrimonio artistico. Questo andirivien­i da Udine a Trieste quanto costa? Costa. E dire che Trieste è sede distrettua­le e capoluogo di regione. Ed è sempre più sola». Diversamen­te …

«Altrimenti continuerà a essere dura. Tenga conto che i mafiosi sono velocissim­i nella scelta dei molteplici affari illeciti a loro disposizio­ne: vivono di questo, mentre noi, i magistrati, doverosame­nte trattiamo, illecito per illecito, in singoli fascicoli, ovviamente impiegando al massimo le garanzie difensive. Ma è una parte assai piccola di quegli affari che andrebbero contrastat­i altrettant­o velocement­e con un conseguent­e allargamen­to della pianta organica».

In Veneto i reparti investigat­ivi sono più sperimenta­ti. I magistrati conoscono il fenomeno mafioso per averlo affrontato già ai tempi della “Banda Maniero”

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