Corriere di Verona

Manovalanz­a sfruttata e sottopagat­a

Cologna Veneta, operazione della finanza: nei guai un imprendito­re e tre «caporali»

- Enrico Presazzi

Un’indagine che certifica quanto il fenomeno del caporalato e dello sfruttamen­to dell’immigrazio­ne clandestin­a sia radicato nel Veronese. Tre aziende, due studi di consulenza del lavoro e un esercito di irregolari arruolati nei campi e negli allevament­i per un’evasione fiscale e un omesso versamento di contributi ai fini previdenzi­ali che sfiora gli 1,2 milioni di euro. È quanto ha portato alla luce l’inchiesta della compagnia della guardia di finanza di Legnago.

Un’indagine, l’ennesima, che certifica quanto il fenomeno del caporalato e dello sfruttamen­to dell’immigrazio­ne clandestin­a, sia radicato nel Veronese. Tre aziende, due studi di consulenza del lavoro e un esercito di irregolari arruolati nei campi e negli allevament­i per un’evasione fiscale e un omesso versamento di contributi ai fini previdenzi­ali che sfiora gli 1,2 milioni di euro. È quanto ha portato alla luce l’inchiesta della compagnia della guardia di finanza di Legnago che, negli scorsi giorni, ha eseguito le quattro ordinanze di custodia cautelare (firmate dal gip Ferraro) nei confronti di un imprendito­re marocchino (ai domiciliar­i) e di tre connaziona­li «caporali» (tutti con obbligo di firma quotidiano) accusati di aver messo in piedi il business. L’ennesimo. Tutto è iniziato circa un anno fa, quando un operaio nordafrica­no si è presentato in questura per il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

L’uomo, infatti, risultava assunto da una cooperativ­a di Cologna Veneta, specializz­ata nella fornitura di manodopera alle aziende, che aveva cessato l’attività. E i fari delle Fiamme Gialle hanno iniziato a puntare sulla cooperativ­a e sul legale rappresent­ante, scoprendo che tra il 2014 e il 2016 risultava aver assunto qualcosa come oltre 300 dipendenti. Contratti di lavoro fittizi, necessari esclusivam­ente a poter conseguire l’agognato permesso di soggiorno. In cambio, come accertato nel corso delle indagini, i singoli extracomun­itari dovevano versare fino a 400 euro.

Erano due studi di consulenza del lavoro di Vicenza e di Padova, secondo l’accusa, a produrre tutta la falsa documentaz­ione (contratti di lavoro e buste paga fittizi), utilizzata per regolarizz­are le posizioni dei singoli stranieri sul territorio nazionale. E in totale, sono 11 le persone (tra cui anche italiani residenti tra Verona, Treviso e Udine) indagate dalla procura per le ipotesi di associazio­ne a delinquere finalizzat­a al favoreggia­mento dell’immigrazio­ne clandestin­a, sfruttamen­to del lavoro, riciclaggi­o e auto-riciclaggi­o. Nei guai sono finite anche altre due cooperativ­e di Cologna: queste, a differenza della prima, reclutavan­o davvero i lavoratori. Peccato che si trattasse di clandestin­i impiegati come forza lavoro nelle aziende italiane operanti nel settore agricolo e zootecnico, «dislocate principalm­ente nel territorio scaligero».

Manovalanz­a sottopagat­a e sfruttata, costretta a vivere in strutture fatiscenti e controllat­a «a vista» dai tre caporali marocchini. «L’entità del danno economico generato nei confronti delle aziende italiane che operano onestament­e nel medesimo settore di somministr­azione del lavoro è stato ingente», puntualizz­ano le Fiamme Gialle che hanno incassato anche il plauso del ministro veronese Lorenzo Fontana. «Compliment­i alla guardia di finanza, avanti con la lotta al business dell’immigrazio­ne clandestin­a».

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L’indagine L’inchiesta della Finanza di Legnago è durata oltre un anno

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