I soldi investiti dai Casalesi a Portogruaro chiave di volta
Le ramificazioni delle organizzazioni VENEZIA mafiose a Nordest ormai molto più che un’ombra. I clan che «salgono» lo Stivale ed entrano in modo sotterraneo nelle attività produttive e commerciali delle regioni del Nord. Lì dove il denaro gira. Così sarebbero arrivati anche a un broker di provincia come Fabio Gaiatto. Perché e a lui che il clan dei Casalesi si sarebbe rivolto per investire in Croazia 10 milioni di euro, con una classica operazione per ripulire il denaro sporco. Ed è a lui che propongono estorsioni e ricatti, per rientrare di quel credito svanito nella voragine della truffa da 72 milioni di euro della sua società di trading.
In cambio gli danno protezione. Perché quando le scuse sono finite e i suoi creditori hanno capito che i loro soldi erano spariti, la bella vita del 43enne è cambiata per sempre. Fuori della sua villa, ogni giorno, c’erano decine di persone che lo aspettavano per affrontarlo. Ed è qui che i Casalesi fanno sentire la propria presenza.
Se doveva uscire di casa o rientrare, ad esempio, veniva preceduto da un’auto civetta. Al volante uno degli amici campani, pronto a scendere «e tirare mazzate« a chi si fosse messo tra lui e il broker. Come un vero boss. Solo che non siamo a Casal di Principe ma a Portogruaro.
Fatti che stridono con la difesa del 43enne che, dal carcere, tramite il suo avvocato Guido Galletti assicura: «Sono io stesso una vittima, il loro sistema ha avuto il sopravvento».
A leggere le carte dell’inchiesta gli inquirenti gli ritagliano al contrario un ruolo di pianificatore. E’ lui che decide di accettare il suggerimento dei Casalesi di procedere con il «piano B»: «Sappiamo noi come fare, abbiamo le persone giuste – gli dicono -, che sanno come convincere chi deve pagare, tu dacci i nomi». E lui li fa, nel corso di una riunione a Pola, indica una commercialista croata e tre imprenditori italiani con società in Croazia, spiegando bene anche cosa pretendere da ciascuno di loro, tra auto di lusso e terreni, riuscendo così a estorcere beni mobili e immobili per 370 mila euro.
Per gli inquirenti, Gaiatto è tutto fuorché vittima del sistema del clan, del quale farebbe parte anche Francesco Paolo Iozzino l’imprenditore 56enne di Resana, considerato uno degli avamposti veneti dei Casalesi che difeso dall’avvocato Massimo Bissi si dichiara: «Assolutamente estraneo a qualsiasi tipo di associazione criminale».
Ma quand’è che il broker veneziano Gaiatto è entrato in contatto con il clan dei Casalesi e con i suoi emissari veneti? Come i loro rapporti sono diventati così stretti da convincerli ad affidargli 10 milioni di euro da ripulire? Su questo è tuttora concentrata l’indagine della procura Procura Distrettuale Antimafia di Trieste e degli uomini della Dia, che ora stanno passando al setaccio anche i documenti e i computer sequestrati agli indagati.