La stagione dell’attesa
La bellezza sospesa dell’inverno nel saggio dello storico Vanoli Vivaldi, le grandi gelate in Laguna e l’Ottocento che trasformò il freddo nel business sui monti
«Facciamo finta che non l’abbiate mai sentita. E che suoni nuova alle vostre orecchie come a coloro che nell’inverno del 1725 si fossero trovati a passare per la chiesa di Santa Maria della Pietà, a Venezia. Quelli che ora state ascoltando sono gli archi sferzanti del primo movimento dell’Inverno di Antonio Vivaldi. Per esso il ‘Prete rosso’ ha scelto la desolante tonalità del Fa minore». Parla sottovoce Alessandro Vanoli, mimando i suoni della stagione semi-addormentata, cercando i rumori nascosti e le sonorità del freddo. Il suo nuovo libro, pubblicato dal Mulino dopo un’avvincente serie di saggi dedicati perlopiù alla storia mediterranea, ha un oggetto di studio particolare, riflesso in un titolo poetico: Inverno. Il racconto dell’attesa.È una storia culturale, musicale, artistica, sociale di quel grande protagonista della storia umana che è l’inverno: la stagione che nominalmente comincia tra tre giorni ma che in molti luoghi è già nel suo pieno vigore. E Venezia, luogo in cui l’abate Vivaldi, nel sestiere di Castello, lavora da vent’anni a comporre concerti su concerti, non poteva non trovare posto nel saggio di Vanoli.
«L’idea di descrivere il calendario in musica è di per sé una discreta novità», commenta Vanoli. «I tre momenti descritti da Vivaldi in ciascun movimento sono l’azione spietata del vento gelido (allegro), la pioggia che cade lenta sul terreno ghiacciato (adagio) e la serena accettazione del rigido clima invernale (allegro). Per ricreare queste immagini ha lavorato con grande raffinatezza sugli effetti. Ad esempio inventandosi un accompagnamento di corde pizzicate del secondo movimento per rappresentare la pioggia che batte al di fuori; oppure adottando nell’ultimo movimento l’accompagnamento di una sola nota tenuta, per raccontare un timoroso incedere sul ghiaccio». Vanoli scrive con prosa sussurrante, capace di infilarsi piano tra le vesti delle genti che cercavano riparo dal gelo attraverso i secoli, di tendere l’orecchio ai venti, al rumore delle braci, allo scricchiolare della natura addormentata. Ma anche di ricordare i dati della climatologia, come la «piccola era glaciale» che per secoli mutò il volto dell’Europa. «Tutto cominciò attorno al Quattrocento: di anno in anno la terra prese a farsi più fredda, gli inverni tardarono a lasciare il passo alla primavera, i raccolti si fecero via via più scarni e il gelo entrò con durezza inusitata nel paesaggio. Un secolo dopo, tra il 1570 e il 1685, la temperatura media era già calata di quasi due gradi centigradi». Due gradi possono sembrare pochi, «ma invece cambiano tutto: le correnti oceaniche modificarono il loro percorso, il ciclo delle stagioni fu sconvolto».
Tanto per dire, da allora la laguna veneta gelò in media sei volte per secolo, e in modo così impressionante che nel 1432 si poté andare da Mestre a Venezia in carrozza e nel 1491 si organizzò un torneo di cavalieri sulla superficie ghiacciata del Canal Grande. Domenica 23 dicembre Vanoli parlerà di tutto questo a Cortina, raccontando l’inverno nel freddo delle Dolomiti. Ma se la montagna è il luogo in cui il fascino della stagione fredda più si dispiega e accende l’immaginario collettivo, è pur vero che questo fascino è relativamente recente. «Se volessimo indicare la data in cui è diventata un’altra cosa rispetto a quello che era stato per tutto il resto della storia, la troveremmo circa a metà Ottocento». È in quel periodo, spiega, che le prime popolazioni non autoctone cominciano ad avventurarsi nella montagna dolomitica anche d’inverno. «Era una novità assoluta: in montagna prima di allora si andava al più d’estate, e non per ragioni turistiche, bensì sanitarie, per le terme e per curarsi. Solo i pazzi o i disperati potevano nutrire il desiderio di spingersi tra vallate colme di neve e infidi ghiacciai». Che cos’è allora che fa da innesco a quella straordinaria conversione che nelle Alpi si fa dell’inverno, da minaccia quasi onnipotente a miniera d’oro dell’industria turistica? «Il nuovo senso di intimità che si legava a questa stagione. Il gusto borghese per la vacanza. Ma c’è una questione fondamentale: l’invenzione del riscaldamento. Che è molto diverso dal camino e persino dalla stube, che per quanto efficaci riscaldavano al massimo una stanza. D’ora in avanti a essere riscaldata è tutta la casa. La montagna diventa immediatamente più fruibile». L’inverno addolcito, addomesticato. Quello che non fa più paura.