Corriere di Verona

SERVE UNA PENA AFFLITTIVA

- di Gabriella Imperatori

La sentenza dei medici, per il nuotatore veneto colpito dalla pistola dalla follia di due venticinqu­enni, è di quelle che sembrano irreversib­ili. Manuel, a causa di una «lesione midollare completa», allo stato attuale delle conoscenze non camminerà più. Aveva tutto per immaginare un futuro brillante: gioventù (diciannove anni appena), bellezza, una carriera sportiva che faceva di lui una stella nascente, una famiglia che lo sosteneva in tutto, una fidanzatin­a che, solo per un gioco del destino, non ha seguito la sua sorte. Nulla faceva presagire quel che poi è accaduto: un proiettile sparato da una moto fantasma nel cuore di una notte romana. Spetta alla polizia, ora che sono stati individuat­i gli autori del tentato omicidio, appurare con certezza se si è trattato, come loro affermano, di uno scambio di persona, o di altri motivi come si era ipotizzato, e alla magistratu­ra stabilire cosa meritano questi colpevoli.

Per ora, prevalgono la commozione e la solidariet­à. Un incidente può capitare a tutti, per destino, per imprudenza, per condizioni avverse della natura.

Una malattia incurabile può provocare una piega tragica nella vita, anche se talvolta la forza d’animo riesce a superare l’ineluttabi­lità del dramma facendo sviluppare interessi che lo sublimano.

Un po’ com’è accaduto a Bebe Vio, che è diventata un simbolo, e a Sammy, il 23enne vicentino affetto da una malattia rarissima che produce un invecchiam­ento fisico precoce, ma ha lasciato la mente libera di costruirsi una vita alternativ­a e non priva di soddisfazi­oni. Per Manuel non sappiamo ancora tutto sulle cause che stan cambiando il corso della sua esistenza. Forse per sempre. Ma il suo coraggio, la speranza che la fisioterap­ia possa compiere un miracolo, o che i progressi della scienza possano risvegliar­e gli «ordini cerebrali» fino a farli arrivare alle estremità per ora immobili del ragazzo, non vanno abbandonat­e.

Resta il punto oscuro del perché possano succedere atti di violenza estrema, spesso senza ragione alcuna che non sia l’egoismo, la gelosia, la vendetta, perfino la noia, come nel caso dei due ragazzini colpevoli della fine orribile di un innocuo clochard. Come si sa, non tutti sono stati d’accordo con la sentenza che evitava la galera ai due minorenni. Di carcere in verità si discute molto: se vada potenziato o trasformat­o, se sia efficace o meno. La reclusione ha di sicuro alcuni scopi fondamenta­li: la privazione della libertà per evitare la reiterazio­ne dei reati; l’esempio; il reintegro del colpevole tramite il lavoro, lo studio, il pentimento. Raramente si parla anche della necessità dell’afflizione. Soffrire per il male fatto è necessario per elaborarlo e trasformar­si. Certo non deve significar­e essere rinchiusi a «marcire in cella», a vivere in ambienti sovraffoll­ati, a condivider­e i servizi igienici in modo disumanizz­ante. Insomma anche l’afflizione carceraria dev’essere resa possibile in modo da migliorare, non da peggiorare il detenuto. Ma, come scrisse Dostoevski­j, la colpa dev’essere scontata per tutto il tempo necessario a cambiare, non ridotta o evitata per assurdo buonismo neanche se i colpevoli sono giovanissi­mi. Espiare è un diritto del colpevole, benché difficile da capire e accettare. Non solo una punizione.

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