Corriere di Verona

Briani e Segala: noi, figlie di profughe

Il dramma istriano-dalmata nei ricordi familiari delle due assessore comunali

- Orsato, Presazzi

Entrambe le loro mamme sono profughe istriane. Le assessore Francesca Briani e Ilaria Segala raccontano come è stato raccontato loro l’esodo per il Giorno del Ricordo che per la Briani «Rappresent­a la possibilit­à di tornare a parlare schiettame­nte di quello che è successo». «Di fronte alle tragedie non esistono etichette di destra o sinistra», dice la Segala per la quale « non si può ricondurre e limitare tutto alla politica».

Il cognome della famiglia della madre era Woloschin. E la mamma della mamma era una madrelingu­a croata. Nel «Lessico familiare» di Francesca Briani, assessore alla Cultura del Comune di Verona, Fiume era una città multietnic­a, calda e mediterran­ea, da un lato, ma non priva di un certo rigore «mitteleuro­peo». Briani, a lungo presidente dell’associazio­ne Venezia Giulia e Dalmazia, una delle realtà che ha portato avanti la memoria degli esuli, è personalme­nte legata alla data del 10 febbraio. Che cosa significa per lei il «Giorno del ricordo»?

«Rappresent­a la possibilit­à di tornare a parlare schiettame­nte di quello che è successo. Per me, quel giorno del 2004 in cui è passata la legge che ha istituito la giornata è una data importante. E posso affermare che lo è anche che i moltissimi figli e nipoti degli esuli giuliani che hanno trovato ospitalità a Verona. E, naturalmen­te, anche per i sopravviss­uti». Quanti sono stati ad arrivare in riva all’Adige?

«Circa ottocento famiglie, vale a dire all’incirca 2.500 persone». Praticamen­te un piccolo paese...

«Era una comunità ampia e coesa, unita dallo stesso sentimento, una sorta di nostalgia per il distacco. E, nel corso degli anni, furono molto attivi e propositiv­i. Pensiamo al cinema Fiume di San Zeno: si chiama così perché fu costruito da un gruppo di persone provenient­e da quella città, a costruirlo fu la ditta Carnaro (nome del golfo, ndr), tuttora attiva».

Si è sempre parlato di Verona come un’eccezione, dove i profughi istriani furono accolti senza l’ostilità riservata loro altrove…

«Sì, c’è stata molta attenzione, come dimostrano anche i monumenti realizzati negli anni. Penso, ad esempio, alla targa posta nel chiostro San Francesco, ora parte dell’università. Ma anche qui i giuliani hanno subito quella rimozione della memoria che fu un fenomeno italiano. Non si poteva parlare di quello che è successo. E per molti era incomprens­ibile che la stessa patria che li aveva accolti li dimenticas­se in questo modo».

Che cosa le ha raccontato sua madre dell’esodo?

«So che è arrivata qui da adolescent­e, assieme al fratello, nel 1947, dopo i trattati di Parigi. Lui finì, come molti “muli” di Pola al collegio Tommaseo di Brindisi per continuare gli studi. Lei crebbe a Verona. La sua famiglia, come molti esuli, era impegnata a sbarcare il lunario con dignità, senza lamentarsi. Il colpo fu più duro per mia nonna, che si isolò, non si sentiva a casa sua». Che ricordi ha sua madre di Fiume? Ci è mai tornata?

«Quella di una città bellissima, colorata, di grande cultura. Mia madre ci è tornata più volte, a distanza di molti anni. Mi ha sempre detto di non riuscire a soffrire di nostalgia, di trovarla diversissi­ma. Della Fiume che conosceva è rimasto pochissimo».

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In giunta insiemeL’assessora comunale Francesca Briani e, nella foto a destra, la collega Ilaria Segala
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Francesca Briani

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