Corriere di Verona

Tesoro di Maniero il pm chiede 10 anni per il broker Brotini

- (a. zo.)

Quaranta minuti di requisitor­ia e una VENEZIA richiesta pesantissi­ma: 10 anni di carcere. «Circa trecento magistrati si sono occupati negli anni di Felice Maniero e tutti lo hanno ritenuto attendibil­e», ha detto il pm Paola Tonini chiedendo la condanna di Michele Brotini, il 51enne broker toscano accusato di aver aiutato l’ex boss della Mala del Brenta – insieme al suo ex cognato Riccardo Di Cicco – a riciclare parte del suo tesoro, ovvero 11 miliardi di vecchie lire nascosti in Svizzera a metà anni Novanta. Oltre alle accuse degli stessi Maniero e Di Cicco, il pm ha puntato molto su alcuni elementi più «spontanei»: per esempio l’sms mandato da Maniero al cognato il 2 novembre 2015 in cui gli scriveva «testa di c..., sto venendo giù esclusivam­ente per te e il tuo amico scemo»; o quando Morena Galasso, la nuova compagna di Di Cicco dopo la separazion­e da Noretta Maniero, a un amico parlava al telefono di «un promotore di qua» che lo aveva aiutato. Ma anche l’autoaccusa di Brotini, che dopo un paio di settimane aveva scritto un testo in cui ammetteva tutto, oltre alle frasi captate nei colloqui in carcere con i famigliari, in cui disse che quando i finanzieri vennero ad arrestarlo il 17 gennaio 2017 se lo aspettava. Ci sono infine gli esiti della rogatoria svizzera, che dimostrano come quando Di Cicco aprì nel 2003 il conto «Monastero» presso la Deutsche Bank di Lugano risultò come cliente presentato da Brotini, che venne anche autorizzat­o a visionare il conto (anche se non lo avrebbe mai fatto). «Mentre Di Cicco ha ottenuto le attenuanti generiche per aver collaborat­o - ha detto il pm Tonini, ricordando la condanna del cognato a 4 anni e 10 mesi - Brotini non le merita».

Per i difensori di Brotini, gli avvocati Marco Rocchi e Giuseppe Carugno, però, il «film» è completame­nte diverso. Il broker ha ammesso solo di aver aiutato Di Cicco ad aprire un conto presso la Citibank in Svizzera nel 1995 (e quindi il reato sarebbe prescritto, sostengono), poi di fatto più nulla. Secondo loro non è nemmeno contestabi­le l’aggravante dell’agevolazio­ne mafiosa, perché la Mala non esisteva più e «quelli erano soldi di Felice Maniero». «Entrambi sono inattendib­ili - hanno spiegato i legali - Di Cicco cercava un capro espiatorio per coprire di aver rubato due miliardi a Maniero facendo la bella vita, mentre quest’ultimo gli ha creduto e si è inventato tutto». Inattendib­ili anche altri testimoni, come la compagna di Maniero Marta Bisello e il nipote Alessandro. Rocchi ha letto in aula l’intercetta­zione in cui Bisello, pochi giorni dopo essere stata in procura, rivelava alla mamma di Maniero di aver detto «quello che voleva lui». «Quello che ho dovuto fare - aveva continuato - non l’avrebbe fatto nemmeno al suo peggior nemico». Sentenza giovedì prossimo.

La requisitor­ia Pesano sulla scelta della procura le accuse dello stesso boss della Mala del Brenta

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