La Roma passeggia sul Chievo al Bentegodi
Contro la Roma due svarioni in avvio mettono a terra la squadra di Di Carlo El Shaarawy apre le danze, poi Dzeko e Kolarov: gialloblù sempre a -9 dalla zona salvezza
Una dormita colossale su El Shaarawy, lui che al Bentegodi ha debuttato in A (2008) e col Chievo s’infiamma (vittima prediletta, settimo graffio in carriera). Una passeggiata concessa a Dzeko, libero per inserimento, dribbling, tiro e gol.
Quegli svarioni difensivi in cui Mimmo Di Carlo chiedeva di non cadere hanno condannato il match con la Roma dopo nemmeno diciotto giri d’orologio. Presto, troppo presto. E d’altronde il principale vissuto di questo Chievo generoso ma sciagurato è quello lì, nel senso che siamo a 47 reti incassate, primato negativo di A, solo il Cagliari ne subisce così tante nel primo quarto d’ora, otto (con Di Carlo era successo contro Juve e Fiorentina) e davanti senza Pellissier qualcosa manca, si sente. È un peccato che 90 minuti finiscano risucchiati in un paio di scivoloni ma il verdetto, connaturato al palese divario tecnico, sta nella cronaca di quell’incipit, macchiato di brutto. Incipit di pressing, peraltro, quello timbrato dal Chievo nella sua 23esima tappa stagionale — la decima sotto Di Carlo, alla quarta sconfitta, nel resto del paniere il successo sul Frosinone e sei pareggi — perché l’idea, ragionevole, era offuscare le visioni di Cristante e Nzonzi. Il piano prevedeva di non far ragionare la Roma, orfana del suo ministro difensivo Manolas oltre che di Pellegrini (ottimo tra i pali il vice di Olsen, Mirante).
Dunque Stepinski e Djordjevic subito aggressivi (è in crescita, il serbo, ma non castiga), lo scongelato Frey (ultima dal 1’ in A il 7 maggio 2017) e Leris sulla catena destra percorsa da El Shaarawy (quanti patimenti), Barba ed Hetemaj di là dalle parti di Schick e il senegalese Dioussé (debutto fioco da titolare) davanti alla retroguardia, cioè laddove per esigenze di cassa è stato sacrificato Radovanovic, faro dal 2013 sino all’altro ieri. È stato il 4-3-1-2 annunciato da Di Carlo. Ma è stato ancora una volta sui dettagli che un Chievo manifestamente inferiore è andato a incagliarsi. C’è Bani che sbaglia a salire sullo 0-1 di El Shaarawy, sigillo figlio di una rimessa dal fondo gestita male. C’è Hetemaj agilmente superato da Dzeko sullo 0-2. E c’è che lì, il Chievo, a volte troppo sterile con la palla, complice anche un Giaccherini poco incisivo, s’è trovato a pagare lo scotto più alto. Lo spirito che piace a Di Carlo? Si è visto, sì. Il taccuino non registrerebbe altrimenti il palo scheggiato da Djordjevic o un miracolo di Mirante sull’ex Lazio, poco prima dell’intervallo: risposte sul piano del carattere.
Però a quel punto la serata — ulteriormente ingrigita dal ko di Frey, sostituito da un Depaoli non al meglio e a sua volta infortunatosi — pareva
Trittico decisivo? Il Chievo è atteso ora dalla trasferta a Udine e poi dai match con il Genoa e il Torino
già indirizzata verso un destino scritto, preventivabile visto il gap tra gialloblù e giallorossi ma con dell’amaro addosso. Destino scritto e ratificato da Kolarov (contropiede facile) poco prima che Di Carlo, con 30’ da giocare e la Roma a colpire due legni, facesse esordire un altro volto nuovo, il brasiliano Piazon, e uno vecchio, Schelotto, dentro (voglioso) da terzino. L’altro gap, allora, ossia quello tra il Chievo fanalino e l’Empoli, quartultimo aspettando Bologna-Genoa di domani, rimane di 9 gettoni. Il calendario offre altre 15 gare. Non è un fazzoletto di tempo, ma quasi. E il club della Diga — ieri sulla maglia il nuovo main sponsor, l’azienda d’abbigliamento Mulish — dovrà provare a tirarne fuori almeno 26 punti.
I giorni del «dentro o fuori» prendono ormai a intravedersi a tine sempre più nitide: alle porte, il trittico con Udinese (al Friuli), Genoa e Torino (in Piemonte).