Suicida in carcere: «Si diceva innocente» E il pm apre un’inchiesta
Il suo difensore d’ufficio se lo ricorda bene: «Ripeteva di essere innocente, di non sapere nulla di quel carico di droga, di trovarsi lì perché cercava un passaggio in camion». Tre settimane fa venne fermato per traffico di stupefacenti, l’altro ieri si è tolto la vita nel carcere di Montorio. Aveva già cercato di farla finita al momento dell’arresto, a metà gennaio: ora la procura vuole vederci chiaro e ha aperto un’inchiesta sul suo suicidio. Anche perché Adelaja Abodnurin, così si chiamava il nigeriano di 40 anni che si è impiccato 48 ore fa in cella, si era sempre professato «estraneo ai fatti», come conferma l’avvocato che lo assisteva al momento del fermo, Corrado Perseghin: «Ripeteva di trovarsi lì per caso». Peccato che invece, a bordo di quel mezzo pesante, i carabinieri di Padova avessero trovato 20 chili di eroina purissima. Adelaja finì in manette in un autogrill di Verona insieme al presunto complice Antonius Hooghiemstra, olandese di 53 anni: per l’accusa si trattava di due corrieri della droga, ma mentre davanti al gip l’olandese ammise l’evidenza, al contrario Adelaja protestò dal primo istante la propria innocenza. Tentò il gesto estremo e fu ricoverato in Psichiatria, una volta dimesso si ritrovò a Montorio e proprio questa settimana il suo nuovo legale Giampaolo Cazzola si è visto respingere la richiesta dei domiciliari. Forse in preda allo sconforto, il nordafricano l’ha fatta finita giovedì mattina. Soccorso dagli agenti di custodia e portato in infermiera, gli è stato eseguito un massaggio cardiaco con defibrillatore, ma senza esito. «Un detenuto che si toglie la vita è un fallimento dello Stato» secondo il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, che segnala come a Montorio un altro detenuto avrebbe minacciato gli agenti con una lametta, sferrando un pugno in faccia a un poliziotto.