Carenza di medici, tre soluzioni sul tavolo
Coletto e De Leo: più posti all’università , altre borse di studio e percorsi alternativi
L’annosa questione della carenza di medici, che da tempo preoccupa gli ospedali veneti (e non solo) è arrivato sul tavolo del ministro della Sanità, Giulia Grillo. Con tanto di bozza di soluzione, anche quella «Made in Veneto». Quest’ultima si regge su tra colonne: aumento dei posti in ingresso a Medicina (anche se l’abolizione del numero chiuso sembra un’utopia irrealizzabile al momento) aumento delle borse di studio nelle specialità e attivazione dei «percorsi alternativi», coinvolgendo, oltre alle cliniche universitarie, gli ospedali di rete. È quanto assicurano il sottosegretario Luca Coletto, già assessore regionale, e Domenico De Leo, presidente della scuola di medicina, recentemente nominato membro del consiglio superiore di sanità. L’occasione è la conclusione del convegno che si è tenuto in Gran Guardia, sulle nuove terapie farmacologiche in oncologia. Cosa potrà accadere a partire da settembre, quando si terrà il prossimo test d’ingresso a Medicina? De Leo, che ha ben presente le difficoltà degli atenei, si mantiene realista. «Le università sono pronte a fare la propria parte, ma al tempo stesso devono garantire una buona qualità dell’offerta didattica e formativa».
E il problema è duplice: da una parte gli spazi (ma va detto che a Borgo Roma è atteso un importante intervento di edilizia universitaria), dall’altro, la disponibilità di docenti. «Uno sforzo è possibile, possiamo ragionare su piccolo numeri: Verona accoglie attualmente nel corso di laurea di Medicina 180 studenti all’anno, si possono aumentare di una ventina. La questione è molto delicata, ma dobbiamo dare una risposta alla popolazione in termini di esigenze di medici sul territorio. Bisogna però intervenire anche sul post laurea. Allo stato attuale, un terzo dei medici laureati non trovano posto nelle scuole di specializzazione».
Ed è qui che potrebbe entrare in scena la «ricetta veneta», già presente, ricorda Coletto, nel patto per la Salute siglato in Regione nel 2014. Da un lato c’è l’utilizzo, in corsia, degli specializzandi all’ultimo anno, dall’altro il coinvolgimento di altri ospedali nella formazione per poter ampliare il numero di posizioni disponibili. La richiesta del mondo universitario è che la «regia» sia degli atenei.
«Non va improvvisato nulla - sottolinea Coletto - si tornerebbe, limitatamente e provvisoriamente al modello che era in vigore da noi trent’anni fa e che ha formato grandi professionisti». Ulteriori risorse, in termini di ore lavoro, dice sempre il sottosegretario, possono essere liberate con un’accurata riclassificazione di alcuni interventi: «Si può lavorare sulla chirurgia ambulatoriale, che con le innovazioni tecnologiche degli ultimi anni può essere svolta anche al di fuori dei grandi nodi ospedalieri».
Il docente Gli atenei sono pronti, ma al tempo stesso devono garantire una buona qualità dell’offerta didattica e formativa