«Veneto Banca, denunce ferme due anni a Roma»
La mannaia della prescrizione sulle inchieste di Veneto Banca è sempre più vicina. E il procuratore di Treviso, Michele Dalla Costa (nella foto), punta il dito contro la procura di Roma che, per due anni, ha tenuto ferme le migliaia di denunce degli ex correntisti. Ma a bloccare le indagini in procura, adesso, è soprattutto un problema di software che non comunica con quello della procura di Roma e quindi con il fascicolo digitale predisposto dai magistrati capitolini, non consentendo neppure di predisporre il nuovo fascicolo in vista del processo.
Situazione decisamente paradossale, a un passo da almeno due 415 bis, e cioè gli avvisi di chiusura indagini che il sostituto procuratore Massimo De Bortoli starebbe per firmare per due delle tranche della maxi-inchiesta: quella su aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza e quella sulle presunte truffe, estorsioni e falsi scaturite dalle denunce degli ex correntisti di Veneto Banca.
E se sulla prima i magistrati romani erano già arrivati alla fase dell’udienza preliminare quando le carte sono tornate a Treviso, per quanto riguarda la seconda Dalla Costa ci tiene a precisare: «Non voglio attaccare nessuno, ma solo dire le cose come stanno. E cioè che tutte quelle denunce sono rimaste ferme per due anni senza che nessuno a Roma le visionasse, formulasse un’ipotesi di reato e compiesse un qualsiasi atto utile a mandare avanti l’inchiesta. Così come nulla è stato fatto per interrompere i tempi di prescrizione, ad esempio chiedendo un interrogatorio o qualche rinvio a giudizio».
A prenderle per mano, una per una, è stato De Bortoli che, insieme alla Guardia di finanza, ha mandato avanti l’inchiesta ormai agli sgoccioli. «Ma ora il problema è istruire il fascicolo digitale – continua Dalla Costa -, è stato infatti necessario ricaricare tutte le denunce tornate indietro, perché i sistemi informatici di Roma e quelli di Treviso, essendo di due distretti diversi, non dialogano tra loro. E questo inevitabilmente allunga i tempi».
Un problema, che va a braccetto con quello delle risorse umane dedicate all’inchiesta su Veneto Banca. Perché, oltre a De Bortoli, che continua a essere l’unico magistrato che se ne occupa, anche a livello amministrativo tutta la mole di lavoro ricade sul suo scarno ufficio composto da un solo assistente. «Abbiamo predisposto una postazione per consentire agli avvocati, quando saranno formalizzati i 415 bis, di accedere agli atti», spiega il procuratore. Ma chi ci sarà ad assisterli in questa operazione resta da chiarire. E potrebbero essere tanti, se De Bortoli seguirà la via della Procura di Verbania che ha appena chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di truffa aggravata in concorso, per 41 tra manager, funzionari e direttori di filiale. Su questo però Dalla Costa è fermo: «Sono stato oggetto di un procedimento disciplinare da parte del Csm (poi archiviato) e denunciato per una presunta incompatibilità (di cui sono stato assolto in Cassazione), vista l’attività di mia moglie. Per questo ho deciso di non occuparmi più in alcun modo di questa inchiesta».