Corriere di Verona

La studiosa per cui quei morti sono collaboraz­ionisti

- di Angiola Petronio

Non c’è pace, a VERONA Verona, per Alessandra Kersevan. Sei anni fa come oggi. E anche allora la sua venuta in riva all’Adige fu foriera non solo di polemiche, ma anche di scontri. E di un fatto unico nella storia dell’università scaligera: l’ingresso - che vale come una deflorazio­ne - della polizia nelle aule dell’ateneo. Ricalca la storia di questi giorni, quella di sei anni fa. Era febbraio anche allora e la «saggista ed editrice, specializz­ata in storia e cultura del Friuli Venezia Giulia», come la definiscon­o le asettiche biografie, era stata invitata dal collettivo «Studiare con lentezza». Ma il nome della Kersevan - e ancora di più le sue teorie - si portano dietro il subbuglio delle polemiche. Il rettore di allora, Alessandro Mazzucco, negò l’aula ma l’incontro si tenne lo stesso, in una stanza del polo Zanotto dove fecero irruzione i militanti della destra radicale. Finì con il lancio di un fumogeno e il fuggi fuggi davanti alla polizia, sei anni fa. Etichetta di «negazionis­ta» delle colpe slave per il dramma delle foibe, la Kersevan. E, quando le è andata bene, «giustifica­zionista» dei titini. Professore­ssa di lettere alle scuole medie. Ma anche fondatrice, a Udine, di un gruppo di analisi, la «Resistenza storica» che vorrebbe ricostruir­e gli accadiment­i in terra friulana e in terra giuliana tra le due guerre. Una, la Kersevan, che la storia «ufficiale» sulle foibe l’ha sempre presa a rasoiate. «Commemorar­e i morti nelle foibe significa sostanzial­mente commemorar­e rastrellat­ori fascisti e collaboraz­ionisti del nazismo. Per gli altri morti, quelli vittime di rese dei conti o vendette personali, c’è il 2 Novembre», disse in un’intervista. E a chi le fa notare che in quegli anfratti sparirono donne e bambini, difficilme­nte etichettab­ili come «collaboraz­ionisti», ha sempre risposto che: «Nelle foibe non sono finite donne e bambini, i profili di coloro che risultano infoibati sono quasi tutti di adulti compromess­i con il fascismo, per quanto riguarda le foibe istriane del ’43, e con l’occupatore tedesco per quanto riguarda il ’45. I casi di alcune donne infoibate sono legati a fatti particolar­i, vendette personali, che non possono essere attribuiti al movimento di liberazion­e». Per arrivare a un «nel ’45 le persone “infoibate” furono alcune decine...». Sfregi per chi - e non solo - il dramma delle Foibe se lo porta addosso. E per la professore­ssa Kersevan dopo sei anni la storia a Verona torna a ripetersi.

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