Corriere di Verona

Gli bruciarono l’auto in piazza: «Certe lottizzazi­oni erano poco chiare»

- Alessandro Zuin

Forse nella Calabria immaginari­a ERACLEA (VENEZIA) di Cetto La Qualunque, campione di illegalità che si candida a sindaco del paese (e vince pure), bruciare l’auto all’avversario politico, come accade nel film, era un fatto di ordinaria campagna elettorale. A Ponte Crepaldo di Eraclea, invece, una cosa del genere non si era mai vista. Fino a quella sera del 23 giugno 2006, quando, proprio davanti alla chiesa e in mezzo a tanta gente che si godeva il fresco dopo una lunga giornata estiva, andò a fuoco il fuoristrad­a di Adriano Burato, imprendito­re edile ma soprattutt­o segretario locale della fu Alleanza Nazionale. Stracci imbevuti di benzina, ritrovati sul posto dell’incendio, stavano a indicare inequivoca­bilmente che l’atto era doloso. Oggi, a distanza di quasi 12 anni, nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminar­i che ha disposto l’arresto per oltre 50 persone, sta scritto testualmen­te che «il sodalizio mafioso eseguiva l’incendo dell’auto di Adriano Burato, esponente politico avversario di Teso (Graziano, attuale vicesindac­o e allora sindaco di Eraclea, indagato, ndr), che aveva pubblicame­nte denunciato i legami preferenzi­ali dell’amministra­zione comunale con il sodalizio mafioso e il favoritism­o verso le imprese di Polese e Donadio». Burato, lei lo sospettava?

«Sinceramen­te, fino a oggi non ho mai saputo chi mi avesse bruciato la macchina. Diciamo che potevo escludere che fosse una vicenda di lavoro o di amanti, perciò avevo pensato alla politica».

I capi di Alleanza Nazionale, all’epoca, sollevaron­o un polverone: interrogaz­ione parlamenta­re, lettera al prefetto, dichiarazi­oni di fuoco sulle «infiltrazi­oni mafiose a Eraclea».

«I capi del partito, in effetti, si erano spinti un po’ oltre con le conclusion­i. A Ponte Crepaldo erano venuti di persona il coordinato­re regionale Giorgetti e altri esponenti di An per denunciare la cosa. Diciamo che noi eravamo piuttosto attivi contro l’amministra­zione di Teso, della quale avevamo fatto parte ma poi ne eravamo usciti, facendolo cadere da sindaco. Ma lui, alle elezioni, aveva rivinto». Qual era l’oggetto del contendere? Le nuove lottizzazi­oni a Eraclea Mare?

«Sì, era proprio una questione di metri cubi e di nuove costruzion­i. Non era ben chiaro chi fossero i proprietar­i dei lotti, poi venne fuori che dietro l’intervento in Valle Ossi c’erano Montresor (Giovanni detto Lolo, discusso imprendito­re veronese che poi sarebbe finito nel mirino della magistratu­ra e del Fisco, ndr) e un fondo speculativ­o lussemburg­hese». Insomma, in Comune c’era scarsa trasparenz­a?

«Sì, era tutto poco chiaro, noi denunciava­mo proprio questo. Il progetto di Valle Ossi, alla fine, non è mai partito». Dell’attentato incendiari­o alla sua auto che ricordo porta?

«Ho ancora davanti agli occhi il pianto di mia moglie e dei figli. A casa, in quei giorni, c’era un clima di paura».

Noi denunciava­mo che in Comune c’era poca trasparenz­a sull’intervento di Valle Ossi

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