Gli bruciarono l’auto in piazza: «Certe lottizzazioni erano poco chiare»
Forse nella Calabria immaginaria ERACLEA (VENEZIA) di Cetto La Qualunque, campione di illegalità che si candida a sindaco del paese (e vince pure), bruciare l’auto all’avversario politico, come accade nel film, era un fatto di ordinaria campagna elettorale. A Ponte Crepaldo di Eraclea, invece, una cosa del genere non si era mai vista. Fino a quella sera del 23 giugno 2006, quando, proprio davanti alla chiesa e in mezzo a tanta gente che si godeva il fresco dopo una lunga giornata estiva, andò a fuoco il fuoristrada di Adriano Burato, imprenditore edile ma soprattutto segretario locale della fu Alleanza Nazionale. Stracci imbevuti di benzina, ritrovati sul posto dell’incendio, stavano a indicare inequivocabilmente che l’atto era doloso. Oggi, a distanza di quasi 12 anni, nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che ha disposto l’arresto per oltre 50 persone, sta scritto testualmente che «il sodalizio mafioso eseguiva l’incendo dell’auto di Adriano Burato, esponente politico avversario di Teso (Graziano, attuale vicesindaco e allora sindaco di Eraclea, indagato, ndr), che aveva pubblicamente denunciato i legami preferenziali dell’amministrazione comunale con il sodalizio mafioso e il favoritismo verso le imprese di Polese e Donadio». Burato, lei lo sospettava?
«Sinceramente, fino a oggi non ho mai saputo chi mi avesse bruciato la macchina. Diciamo che potevo escludere che fosse una vicenda di lavoro o di amanti, perciò avevo pensato alla politica».
I capi di Alleanza Nazionale, all’epoca, sollevarono un polverone: interrogazione parlamentare, lettera al prefetto, dichiarazioni di fuoco sulle «infiltrazioni mafiose a Eraclea».
«I capi del partito, in effetti, si erano spinti un po’ oltre con le conclusioni. A Ponte Crepaldo erano venuti di persona il coordinatore regionale Giorgetti e altri esponenti di An per denunciare la cosa. Diciamo che noi eravamo piuttosto attivi contro l’amministrazione di Teso, della quale avevamo fatto parte ma poi ne eravamo usciti, facendolo cadere da sindaco. Ma lui, alle elezioni, aveva rivinto». Qual era l’oggetto del contendere? Le nuove lottizzazioni a Eraclea Mare?
«Sì, era proprio una questione di metri cubi e di nuove costruzioni. Non era ben chiaro chi fossero i proprietari dei lotti, poi venne fuori che dietro l’intervento in Valle Ossi c’erano Montresor (Giovanni detto Lolo, discusso imprenditore veronese che poi sarebbe finito nel mirino della magistratura e del Fisco, ndr) e un fondo speculativo lussemburghese». Insomma, in Comune c’era scarsa trasparenza?
«Sì, era tutto poco chiaro, noi denunciavamo proprio questo. Il progetto di Valle Ossi, alla fine, non è mai partito». Dell’attentato incendiario alla sua auto che ricordo porta?
«Ho ancora davanti agli occhi il pianto di mia moglie e dei figli. A casa, in quei giorni, c’era un clima di paura».
Noi denunciavamo che in Comune c’era poca trasparenza sull’intervento di Valle Ossi