«Figlio mio, spara ai carabinieri»
«Prendi la pistola e spara ai carabinieri… e dici che è stato babbo, non ti preoccupare (…) Sono loro che devono avere paura di te non tu di loro, tu non hai fatto niente». Così uno degli affiliati al clan istruiva il figlio di 5 anni. È una delle intercettazioni che emerge dall’ordinanza della maxi retata.
L’educazione camorristica viene impartita anche ai piccini. Come al figlio di uno dei principali indagati.
Nelle mille pagine dell’ordinanza che ha portato a decine di misure cautelari, si racconta proprio la vicenda di questo trentenne di origini campane ma che vive a Eraclea, dove «negli ultimi anni è divenuto l’alter ego di Luciano Donadio», il boss dei Casalesi di stanza nel Veneziano. «Lo sostituisce in caso di assenza - scrive il gip - assumendo di fatto un ruolo dirigenziale all’interno del sodalizio; si occupa della gestione delle riscossioni, coordina l’attività di false assunzioni...». Negli anni trascorsi al fianco del capofamiglia, avrebbe dimostrato «l’assoluta condivisione dei valori mafiosi». Era lui stesso a dirlo, litigando con la moglie: «Io nella vita ho fatto sempre il ladro e il mafioso!». E lo si capisce chiaramente dal contenuto, agghiacciante, di una conversazione intercettata dagli inquirenti.
L’uomo parla al figlioletto di cinque anni per convincerlo a raggiungerlo in piazza superando la paura dei carabinieri. «Son venuti sti cornuti giù e ti metti paura?», chiede l’indagato, di cui non sveliamo il nome per tutelare l’identità del bimbo. «Sì? Tu adesso scendi giù a babbo, hai capito? Se no babbo si incazza… Tu lo sai dov’è la pistola. Babbo te lo dice per telefono: prendi la pistola e spara ai carabinieri… e dici che è stato babbo, non ti preoccupare (…) Sono loro che devono avere paura di te non tu di loro, tu non hai fatto niente».
Di sottofondo si sente la voce della moglie, pare perplessa: «Sì, mo’ pure la piccolina si mette paura». Ma lui continua la sua «lezione» al figlioletto: «Hai capito a babbo? Se loro ti danno fastidio, babbo ti fa vedere cosa è in grado delle sue azioni… Ti metti paura dei carabinieri tu, ueh, scemo? A questi contano
quanto il re nella briscola, a papà… vuol dire niente…».
Nei confronti dell’Arma, nutre un disprezzo profondo. Nel gennaio 2014 viene convocato in caserma per essere interrogato circa l’aggressione a un gruppo di skinhead compiuta dal gruppo capeggiato da Donadio. E lui va su tutte le
furie: «...mi metto sulle scale e là mi faccio uccidere: quelli a casa mia non ci entrano… dove stanno i figli miei i carabinieri non entrano. Se mi arrestano e mi uccidono sulle scale, entreranno in casa mia, dove stanno i miei figli. Questo è poco ma sicuro».
Nell’ordinanza si ricostruiscono diversi atti di violenza ordinati da Donadio. Si fa accenno a un «attentato al comandante dei vigili di Eraclea motivato dal livore verso il funzionario pubblico a ragione di alcune contravvenzioni fatte ad Adriano Donadio (il figlio del capofamiglia, ndr)».
C’è il caso del gruppo di skinhead che ha subito «un feroce pestaggio» come ritorsione per un banale diverbio. E ci sono un barista di Eraclea e sua madre, malmenati per «uno sguardo di troppo» lanciato da due clienti alla fidanzata di un amico del clan. «Io
sono Donadio (Adriano, ndr), informati chi sono. Ti sparo in bocca!»
Significativa anche l’aggressione di un albanese avvenuta in seguito a un litigio scoppiato al campo sportivo di Fossalta di Piave. Il 14 novembre del 2014 è sempre Adriano a telefonare al padre chiedendogli di raggiungerlo allo stadio perché era nata una rissa con alcuni stranieri. «Mi hanno picchiato, pa’! Mi hanno picchiato certi albanesi… Devi correre qua, papà!». Luciano Donadio gli dice di tornare a casa e poi parla con il nipote Antonio, che lui al campo sportivo, che gli assicura: «Qua dobbiamo squartarli». Ma di nuovo il capofamiglia risponde di andare via: «Domenica prossima li prendiamo». Quattro giorni dopo, uno degli albanesi viene rintracciato e portato al cospetto dei casalesi «per presentare le sue più umili scuse venendo anche percosso da Donadio e poi magnanimamente perdonato». Andrea Priante
Le violenze Il figlio del boss: «Io sono Donadio, informati chi sono. Ti sparo in bocca!»