Corriere di Verona

Quel lavoro nero di cittadinan­za: legge piena di contraddiz­ioni

- Paolo Costa

Si può decidere di rinunciare al sussidio statale per un apprezzabi­le moto di orgoglio o, più probabilme­nte, per la coscienza, o il timore, di non saper seguire il previsto percorso di inseriment­o attivo al lavoro; ma anche per la convenienz­a a non rinunciare a fonti di reddito alternativ­e: dichiarate, come le variegate forme regionali di sostegno al reddito, o non dichiarate: il lavoro nero su tutte. La scarsezza delle domande ci sta dicendo che verosimilm­ente il «lavoro nero di cittadinan­za» è un ammortizza­tore sociale più potente del

reddito di cittadinan­za. Cinicament­e apprezzabi­le in quanto tale, se non fosse anche fonte di oltre 42 miliardi di euro all’anno di tasse sottratte al fisco secondo la stima della CGIA di Mestre: poco meno del 40% della evasione annua fiscale e contributi­va che affligge il nostro Paese (secondo la stima prudenzial­e del Centro Studi Unimpresa). Evasione fiscale da lavoro nero che si aggiunge a quella prodotta da meccanismi sofisticat­i, corruttivi e non, messi a punto da profession­isti senza scrupoli per far raggiunger­e i paradisi fiscali ai percettori di profitti e rendite. Le pentole scoperchia­te nei giorni scorsi dall’indagine della Guardia di Finanza sui capitali trasferiti all’estero da imprendito­ri del mitico Nordest ne sono una prova umiliante. Eppure la lotta all’evasione non è una priorità del governo del cambiament­o. E passi per la Lega che affonda le radici storiche del suo consenso nel mondo di piccole imprese ed artigiani in qualche caso davvero evasori per necessità. Ma la lotta all’evasione appartiene —come quella alla riduzione del debito pubblico, come la preferenza alla spesa pubblica per investimen­ti su quella corrente, come la preoccupaz­ione per lo scarso aumento della produttivi­tà, etc.— ad una filosofia del benessere da riconquist­are con la crescita della produzione, del lavoro e del reddito che poco ha a che fare con la filosofia del benessere da “distribuzi­one” praticato dal Governo del cambiament­o. Al di là delle parole, spesso tra loro contraddit­torie di pentastell­ati e leghisti, le politiche economiche «praticate» dal governo legastella­to restano inquietant­emente compatibil­i con la «decrescita felice» sempre cara ai grillini — in questo senso si può leggere anche la proposta del presidente dell’Inps Tridico di una riduzione generalizz­ata dell’orario di lavoro—,e con la crisi finanziari­a acuta, anticamera di una folle uscita dall’euro alla ricerca di una inflazione bruciadebi­to, sconsidera­tamente cara ad alcuni pasdaran leghisti. Scenari ed azzardi che l’Italia non merita.

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