Russo senza rivali sull’«antica via del guerriero»
Russo conquista il titolo mondiale di Kobudo ai campionati di Okinawa
È di Bussolengo il campione del mondo di Kobudo, un’arte marziale simile al karate (ma che usa, in più, armi tradizionali) con le radici piantate nell’isola di Okinawa. Si chiama Roberto Russo, ha 24 anni, una laurea in tasca in Scienze Naturali (raggiunta con 110 e lode all’università di Padova) e la medaglia d’oro nel «2019 Okinawa Traditional Kobudo World Tournament». Un podio storico il suo, visto che è la prima volta in assoluto che a vincere è un occidentale, scardinando la certezza del popolo giapponese di essere l’unico vero depositario dell’«antica via del guerriero», come la traduzione letterale di «Kobudo» vuole.
«Ho iniziato a studiare karate a 8 anni, a gareggiare a 10 anni e a 14 ho aggiunto le lezioni di kobudo, sempre nella scuola Junshinkan di Bussolengo col maestro Andrea Guarelli - racconta il neocampione in carica – sono diventato cintura nera molto in fretta in entrambe le discipline. Ma l’esame non è un obiettivo, piuttosto la realizzazione di un percorso».
A Okinawa, lo scorso 27 luglio, c’era andato proprio insieme al suo maestro per studiare meglio le arti marziali. «Quasi per caso, abbiamo scoperto che negli stessi giorni si sarebbe tenuta questa competizione mondiale, che si tiene una volta ogni quattro anni. Il maestro Guarelli mi ha chiesto se volessi partecipare e io ho accettato». La due giorni al cardiopalma lo ha visto confrontarsi con 130 partecipanti provenienti da 35 diverse nazioni. «Roberto ha gareggiato nella specialità più ambita del Bo, che impiega l’uso del bastone lungo 180 cm – spiega nel dettaglio il maestro, guida di quest’avventura sportiva, nonché presidente dell’Aiko (Associazione Italiana Kobudo di Okinawa) e dell’Imka (International Matayoshi Kobudo Association) - la competizione è iniziata con due fasi a punteggio, che Roberto ha vinto con il risultato più alto, ritrovandosi in finale con due atleti di Okinawa e uno di Hong Kong. A quel punto il capo degli arbitri ha deciso di cambiare i 5 giudici di gara e di comporre la cinquina arbidelle trale esclusivamente con arbitri giapponesi. Abbiamo seriamente pensato che la nostra corsa sarebbe finita lì. Invece gli arbitri locali, che peraltro avevano il relativo allievo in gara, sono stati costretti a riconoscere la superiorità dell’atleta italiano attribuendogli il punteggio più alto tra i finalisti». Così, dopo 16 anni di disciplina, un programma di preparazione specifico che lo ha impegnato 6 giorni alla settimana, Roberto Russo è entrato nella storia arti marziali. «Insegnare il Kobudo - conclude Guarelli - è come piantare un albero: possiamo apprezzarne i fiori, i frutti e l’ombra solo dopo un decennio o più, ma per chi sa aspettare la soddisfazione è immensa. Nelle nostre tecniche ci sono i gesti di tutti i maestri che ci hanno preceduto, non possiamo farli dimenticare». Una filosofia che si ritrova anche nelle parole del giovane Russo, al punto da render difficile capire se è la sua personalità a calzar bene con la disciplina orientale o se è stato proprio lo studio delle arti marziali a renderlo così razionale. «Di questo sport amo il controllo che ti permette di ottenere sul tuo corpo - confessa Roberto – in più ogni movimento ha un preciso significato di autodifesa e ogni tecnica ha una sua storia». Ben lungi dalle euforie calcistiche da campione del mondo, verrebbe da chiedersi se, almeno durante la proclamazione, un urlo di gioia o una lacrima liberatoria sia scesa. «Ero molto emozionato, ma il pubblico giapponese non avrebbe gradito esternazioni plateali. Appena usciti dal dojo (la palestra in cui si praticano le arti marziali, ndr), sono andato a festeggiare».