LO «SCHEO» VENETO, PROVOCAZIONE E IDENTITÀ
Uno «scheo» veneto per elemosina. Trovato, accanto a qualche monetina da uno-due centesimi, nel cestino delle offerte, raccolte nella chiesa parrocchiale di una piccola comunità valligiana, in diocesi di Padova. Leggerezza, provocazione, «sacrilegio», come ha tuonato qualche benpensante? O solo, appunto, la necessità di un fedele che non si è casualmente trovato in tasca uno spicciolo e, per non farsi «guardare storto» dal sacrestano di turno, ha versato quel che aveva in mano? Lasciando nella «borsa» il souvenir dell’ultima adunata venetista.
Difficile dare una risposta. E così nel bollettino settimanale di quella comunità parrocchiale si legge, un po’ pomposamente,
di «gesto inqualificabile e sacrilego», interpretando il fatto in termini evidentemente politici.
Lo «scheo veneto», da qualche anno è proposto, non troppo efficacemente, quale moneta virtuale per l’indipendentismo regionale. Sinceramente, quando abbiamo colto la notizia, abbiamo sorriso. Poi riflettuto. Accompagnati dalle parole di quel parroco, o comunicatore del consiglio pastorale, che ha redatto il bollettino, e reso noto il ritrovamento. L’elemosina in chiesa (un tempo ai praticanti si chiedevano le 10 lire, oggi possibilmente l’euro) era per… «pagare la sedia» - come raccontano quanti, memori che dopo il Concilio, quello di Trento, ben si intende, cinquecento anni fa, con l’immissione nelle aule ecclesiastiche delle prime sedie, ove far accomodare in preghiera gli anziani -, veniva chiesto un obolo a riconoscenza. Quei soldi oggi, spiegano, servono alle parrocchie per pagare le utenze delle chiese e quel che resta è per la carità ai poveri.
Con questo spirito (esigenza) si continua a praticare la colletta durante l’offertorio nelle celebrazioni eucaristiche. Le spese crescono, i fedeli calano, e trovarsi una moneta virtuale, per ora inesegibile, non è proprio simpatico.
Nella comunità in oggetto il gesto del probabile «venetista», più o meno doc, in tempo di autonomia frustrata e di autonomismo imbarazzante, è stata letta non come offerta intrisa di speranza, ma come gesto «deprecabile e offensivo». Forse anche pensando a quel tentativo, fatto alla vigilia di Natale del 2016, di lanciare, «innovazione nella tradizione», la nuova moneta digitale veneta, quasi a difesa della identità, anche economica, del territorio regionale. Lo «scheo veneto», come misura e valore del lavoro, e sfida alle élite, non solo nazionali, come strumento di libertà.
Scheo, schei, il termine assunto ad icona del nostro territorio da un saggio di quel veneto nel mondo che è Gian Antonio Stella, è comune e ben radicato nella «lingua» più recente delle terre di San Marco. Rappresenta la traduzione volgare, ai tempi del Regno Lombardo-Veneto, l’abbreviazione del tedesco «Scheidemünze», il nome del «Pfnenning», centesimale della «Corona», l’allora moneta imperiale. Tra fine ‘700 e metà ‘800, erano passate in circolazione sia le «lire» della Repubblica Cispadana, poi regno d’Italia sotto Napoleone, sia monete austriache che sostituivano lo «zecchino» della Repubblica Veneta.
La parola, come detto, ebbe origine dal fatto che sulle monete da 1, 2 o 5 «pfenning», i centesimi della valuta austriaca dell’epoca, chiamata «Kronen» (Corona), c’ era scritta la dicitura «Schei-de münze», cioè divisionale (della Corona, appunto). I veneti «sparagnini» usarono subito questi vocaboli non solo per indicare moneta ma pure per definire caratteri, con evidente ironia per quel «cinque schei de mona che fa ben a tuti», o per traslarlo ad una unità di misura corrispondente al centimetro: «ghe vòe un trave da venti schèi...». Più che moneta digitale («I schei no’ ga gambe ma i core») il termine, ancor oggi, nello sviluppo di mille saggi proverbi, ha significato di piccole dimensioni, di breve lunghezza («sposteo de quatro schei»).
Resta la curiosità di una moneta di riferimento che qualcuno vorrebbe rilanciare anche a simbolo di una identità.
Smorzando un pochino i toni, calandoci nella cruda realtà, godendoci un sorriso, a commento della notizia, facciamo comunque una riflessione, per non esacerbare la polemica sull’uso, o l’abuso più volte lamentato, dei simboli religiosi in politica e nella vita civile, proprio a partire dall’inutile «scheo» lasciato, di questi tempi estivi, nella «borsa» dell’elemosina.
Il bollettino della parrocchia ha interpretato il fatto in termini politici, definendo il gesto, nella borsa dell’elemosina in chiesa, «inqualificabile e sacrilego»