Corriere di Verona

LO «SCHEO» VENETO, PROVOCAZIO­NE E IDENTITÀ

- Di Giandomeni­co Cortese

Uno «scheo» veneto per elemosina. Trovato, accanto a qualche monetina da uno-due centesimi, nel cestino delle offerte, raccolte nella chiesa parrocchia­le di una piccola comunità valligiana, in diocesi di Padova. Leggerezza, provocazio­ne, «sacrilegio», come ha tuonato qualche benpensant­e? O solo, appunto, la necessità di un fedele che non si è casualment­e trovato in tasca uno spicciolo e, per non farsi «guardare storto» dal sacrestano di turno, ha versato quel che aveva in mano? Lasciando nella «borsa» il souvenir dell’ultima adunata venetista.

Difficile dare una risposta. E così nel bollettino settimanal­e di quella comunità parrocchia­le si legge, un po’ pomposamen­te,

di «gesto inqualific­abile e sacrilego», interpreta­ndo il fatto in termini evidenteme­nte politici.

Lo «scheo veneto», da qualche anno è proposto, non troppo efficaceme­nte, quale moneta virtuale per l’indipenden­tismo regionale. Sinceramen­te, quando abbiamo colto la notizia, abbiamo sorriso. Poi riflettuto. Accompagna­ti dalle parole di quel parroco, o comunicato­re del consiglio pastorale, che ha redatto il bollettino, e reso noto il ritrovamen­to. L’elemosina in chiesa (un tempo ai praticanti si chiedevano le 10 lire, oggi possibilme­nte l’euro) era per… «pagare la sedia» - come raccontano quanti, memori che dopo il Concilio, quello di Trento, ben si intende, cinquecent­o anni fa, con l’immissione nelle aule ecclesiast­iche delle prime sedie, ove far accomodare in preghiera gli anziani -, veniva chiesto un obolo a riconoscen­za. Quei soldi oggi, spiegano, servono alle parrocchie per pagare le utenze delle chiese e quel che resta è per la carità ai poveri.

Con questo spirito (esigenza) si continua a praticare la colletta durante l’offertorio nelle celebrazio­ni eucaristic­he. Le spese crescono, i fedeli calano, e trovarsi una moneta virtuale, per ora inesegibil­e, non è proprio simpatico.

Nella comunità in oggetto il gesto del probabile «venetista», più o meno doc, in tempo di autonomia frustrata e di autonomism­o imbarazzan­te, è stata letta non come offerta intrisa di speranza, ma come gesto «deprecabil­e e offensivo». Forse anche pensando a quel tentativo, fatto alla vigilia di Natale del 2016, di lanciare, «innovazion­e nella tradizione», la nuova moneta digitale veneta, quasi a difesa della identità, anche economica, del territorio regionale. Lo «scheo veneto», come misura e valore del lavoro, e sfida alle élite, non solo nazionali, come strumento di libertà.

Scheo, schei, il termine assunto ad icona del nostro territorio da un saggio di quel veneto nel mondo che è Gian Antonio Stella, è comune e ben radicato nella «lingua» più recente delle terre di San Marco. Rappresent­a la traduzione volgare, ai tempi del Regno Lombardo-Veneto, l’abbreviazi­one del tedesco «Scheidemün­ze», il nome del «Pfnenning», centesimal­e della «Corona», l’allora moneta imperiale. Tra fine ‘700 e metà ‘800, erano passate in circolazio­ne sia le «lire» della Repubblica Cispadana, poi regno d’Italia sotto Napoleone, sia monete austriache che sostituiva­no lo «zecchino» della Repubblica Veneta.

La parola, come detto, ebbe origine dal fatto che sulle monete da 1, 2 o 5 «pfenning», i centesimi della valuta austriaca dell’epoca, chiamata «Kronen» (Corona), c’ era scritta la dicitura «Schei-de münze», cioè divisional­e (della Corona, appunto). I veneti «sparagnini» usarono subito questi vocaboli non solo per indicare moneta ma pure per definire caratteri, con evidente ironia per quel «cinque schei de mona che fa ben a tuti», o per traslarlo ad una unità di misura corrispond­ente al centimetro: «ghe vòe un trave da venti schèi...». Più che moneta digitale («I schei no’ ga gambe ma i core») il termine, ancor oggi, nello sviluppo di mille saggi proverbi, ha significat­o di piccole dimensioni, di breve lunghezza («sposteo de quatro schei»).

Resta la curiosità di una moneta di riferiment­o che qualcuno vorrebbe rilanciare anche a simbolo di una identità.

Smorzando un pochino i toni, calandoci nella cruda realtà, godendoci un sorriso, a commento della notizia, facciamo comunque una riflession­e, per non esacerbare la polemica sull’uso, o l’abuso più volte lamentato, dei simboli religiosi in politica e nella vita civile, proprio a partire dall’inutile «scheo» lasciato, di questi tempi estivi, nella «borsa» dell’elemosina.

Il bollettino della parrocchia ha interpreta­to il fatto in termini politici, definendo il gesto, nella borsa dell’elemosina in chiesa, «inqualific­abile e sacrilego»

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