Rivoluzione, Pd e M5s contro Zaia
Dopo la protesta leghista nel Padovano le opposizioni si scatenano. Finco: «Polemica sul nulla, era un comizio» Attacco al governatore: «È fuori controllo». Ma lui precisa: «Mi riferivo a Gandhi»
Un discorso breve ma infuocato che si è chiuso con «Vi aspetto in strada, pronti alla rivoluzione» che non è passato inosservato. Luca Zaia è stato, ieri, al centro di un ciclone di polemiche scatenate dalle opposizioni. In testa il Pd che parla di «parole eversive e lesive di uno Stato di diritto». Ma non è da meno il M5s: «Altro che rivoluzione, la Lega ha fatto cadere un governo amato dagli italiani». Il governatore però chiarisce: «Chi mi conosce sa che mi riferivo a una rivoluzione della democrazia, gandhiana, non certo violenta».
Quel «pronti per la rivoluzione» scagliato da Luca Zaia venerdì sera dal palco di Conselve a riscaldare (se mai ce ne fosse stato bisogno) la platea adorante per Matteo Salvini non è passato inosservato. Al punto che lo stesso Zaia ieri ha ritenuto fosse il caso di specificare cosa intendesse per «rivoluzione».
«Chi mi conosce sa che quando parlo di rivoluzione io intendo la rivoluzione della democrazia,quel cambiamento, anche epocale, che viene dalla forza delle idee e dall’impegno politico. - ha detto ieri Zaia all’Ansa -. Se qualcuno pensa che io mi possa riferire alla iconografia e alla pratica della rivoluzione violenta e cruenta, o non conosce la mia storia politica, o è in malafede».
Fraintendimento o dolo, insomma. Il governatore in completo blu e camicia immacolata che spiccava fra i jeans tempestati di brillantini dell’ex ministro Erika Stefani e la polo militare di Matteo Salvini sul palco della Festa della Lega spiega che tra la base del partito ha trovato, a proposito del nuovo governo, «un clima di preoccupazione e di sdegno». Motivo per cui, continua, «È il momento di scaldare i motori per tornare sulle piazze con il gazebo; la nostra forza è di essere a fianco della gente. Il mio non è un messaggio sovversivo o una chiamata alle armi. Se uso questo termine, intendo una rivoluzione gandhiana, non violenta». La reazione più repentina, quasi in tempo reale, è arrivata già venerdì sera dalla deputata veronese del Pd Alessia Rotta: «Il presidente Zaia ha perso il controllo. Invita a scendere in strada ed essere pronti alla rivoluzione, parole che sono eversive e lesive di uno stato di diritto». È il «la» a un attacco corale dei dem veneti che già da giorni hanno lanciato l’hashtag #bastazaia. Taglia corto il capogruppo leghista a palazzo Ferro Fini, Nicola Finco: «È una polemica sul nulla. Primo, eravamo a una festa di partito ed è normale usare toni più da comizio; secondo, tutti conosciamo Zaia come una delle persone più pacifiche della terra. Ovviamente non parlava di molotov ma di stimolare anche il popolo a non rassegnarsi ai pastrocchi romani di governi che non rappresentano gli italiani». In un clima dichiaratamente da campagna elettorale, l’arma più utilizzata è l’autonomia mancata nei 15 mesi in cui il Carroccio è stato al governo. Zaia non ci sta e risponde punto su punto: «Per noi governo significa autonomia. Non abbiamo avuto risposte in 15 mesi, non ne avremo certamente da un esecutivo con il Pd, partito che ha impugnato il referendum, ci ha portato davanti alla Corte costituzionale». Con il Pd, insomma, è già lotta all’arma bianca. Una bordata arriva dal senatore veneziano Andrea Ferrazzi: «Zaia vaneggia chiamando tutti in strada per la rivoluzione. Lo fa per evidenti difficoltà che cerca di nascondere con i proclami. La Lega in 15 mesi di governo non ha portato a casa l’autonomia. Zaia lo sa bene e ha paura che i veneti chiedano a lui e al suo capo il conto di questo fallimento». Il capogruppo in consiglio regionale Stefano Fracasso si butta sulla metafora enologica: «Dopo il mojito anche il prosecco gioca brutti scherzi». E Piero Ruzzante, consigliere regionale di Leu si produce in un lungo pamphlet che inizia così: «Caro Zaia, ma ci credi tutti imbecilli? Dopo mesi di annunci e penultimatum in cui te ne sei stato zitto e buono con il governo amico, ora che capitan mojito Papeete se ne esce dal governo solo ora invochi la rivoluzione?».
Corrispondenza di amorosi sensi con i quasi alleati del M5s. «Il sogno della mia vita è farla davvero una rivoluzione dice surfando fra il serio e il faceto il consigliere regionale dei 5s Jacopo Berti - ma le parole contano. E una rivoluzione contro il sistema l’ha tentata proprio il Movimento. Se invece Zaia l’ha detta solo per impressionare il capo, consiglierei una rivoluzione interna alla Lega magari contro i cugini lombardi...». Punta sull’economia il deputato bellunese Federico D’Incà (5s): «I veneti dovrebbero scendere in piazza contro la Lega che potrebbe costringere il Paese a un aumento dell’Iva al 25% per le brame di potere di Salvini. Ha fatto cadere un governo che si apprestava a tagliare il cuneo fiscale. Ora invece c’è il rischio di pesare per migliaia di euro sulle famiglie venete». Il senatore 5s Giovanni Endrizzi dice: «La rivoluzione della Lega dura finché sta all’opposizione, poi si vota e torna all’ovile. Il governo che hanno sabotato era il vero cambiamento per l’Italia e per il Veneto, ma sull’autonomia hanno fatto di tutto per rallentare, perché per andare al voto gli serviva un cavallo di battaglia ben lustrato». Gli fa eco il deputato veneziano Alvise Maniero: «Le rivoluzioni che ci servono sono ben più difficili da organizzare, sono pacifiche e sono da fare nelle nostre teste. Un’ottima testimonianza che un po’ di riflessione ci farebbe bene è che le decisioni prese nel baccano premiano poco: recentemente, dal caos di una discoteca un ministro ha deciso di far cadere un governo molto amato dagli italiani, per ritrovarsi l’unico a cadere (e non dal cubo)».
Rotta (Pd) Le parole del governatore Zaia sono eversive e lesive di uno Stato di diritto
Maniero (5s)
Serve una rivoluzione pacifica delle nostre teste, via dal baccano
Luca Zaia
Mi riferisco alla rivoluzione della democrazia. Se qualcuno pensa che io mi possa riferire alla iconografia e alla pratica della rivoluzione violenta e cruenta, o non conosce la mia storia politica, o è in malafede