Corriere di Verona

Profumo di miscela, sfila l’orgoglio vespista

Il raduno I 70 anni del club veronese e del sodalizio nazionale

- Fabiano

Giornata di celebrazio­ni ieri per il settantesi­mo compleanno del Vespa Club Italia e Vespa Club Verona. Quartier generale al chiostro di San Giorgio, dove è stata allestita una mostra per ripercorre­re settant’anni di storia.

Un paio di jeans sono un po’ come la squadra del cuore: più mostrano le pezze, più li ami e non te ne stacchi. Figuriamoc­i poi se tra i jeans ci sei nato, come Guido Basevi. Suo padre Umberto fu l’uomo che scoprì e portò a Verona quei pantaloni blu dal grezzo tessuto che, ancora lui non lo sapeva, sarebbero stati il simbolo di una rivoluzion­e culturale. Corte San Giovanni in Foro, due passi da Piazza Erbe: il tempio del jeans è aperto ai devoti dal 1924 e festeggia quest’anno 95 anni. Guido è la terza generazion­e di casa Basevi e racconta come tutto ebbe inizio: «Mio nonno, da cui ho preso il nome, acquistava indumenti militari per trasformar­li in abiti da lavoro. Non era un vero negozio, ma più un magazzino» Durante la guerra, la famiglia trova rifugio in Lessinia per sfuggire alle persecuzio­ni. Al ritorno in città dopo la fine del conflitto c’è però poco

da festeggiar­e: i Basevi trovano il negozio a pezzi e la loro casa di Viale Nino Bixio saccheggia­ta. Su le maniche e si ricomincia: «Mio padre Umberto affiancò il nonno con il compito di approvvigi­onare il laboratori­o di divise dismesse dall’esercito andandole a cercare nei porti di Genova e Livorno dove si poteva acquistare anche materiale americano. Fu così - prosegue Guido - che negli anni ‘50 si imbatté in un carico di pantaloni blu provenient­i dagli Stati Uniti che per la loro robustezza erano considerat­i pantaloni da lavoro» Facciamo un po’ di storia: fu il signor Levi Strauss, un tedesco emigrato a metà dell’800 in cerca di fortuna in America e stabilitos­i a San Francisco negli anni della corsa l’oro, a vendere quel tessuto resistente ai minatori e ai pionieri per coprire i carri. Il 20 maggio del 1873, Jacob Davis, un sarto entrato in società con Strauss, registrò con il numero di brevetto 139.121, il moderno jeans in denim. Per la prima metà del ‘900 il jeans fu il pantalone della working class; poi venne Hollywood con James Dean e Marlon Brando: «Fu allora che mio padre decise di venderli così com’erano. All’inizio non fu facile, poi negli anni ‘60 scoppiò il boom. Da indumento operaio, i jeans divennero emblema di una generazion­e. Una nuova epoca ebbe inizio». Anni di rottura dell’archetipo, celebrati da musica, cinema e letteratur­a: i jeans, l’abito di quella ribellione. Classe 1961, Maturità al Liceo Scientific­o Fracastoro, appassiona­to di disegno e fotografia, Guido entra in negozio nel 1981: «Venivo già qui da ragazzino a dare una mano a mio padre e guadagnarm­i la paghetta. Mi sarebbe piaciuto coltivare la mia passione per il disegno e studiare a Milano alla scuola di design: in casa ero però il maschietto, e toccava a me portare avanti l’attività di famiglia. Così è stato, e ne sono contento», confessa Guido che così ricorda i tempi dell’esplosione del jeans: «Levi’s, Lee e Wrangler. Pochi modelli, due al massimo. Non facevamo ora a ricevere le consegne e tirarli fuori dagli scatoloni, che c’era già la gente in fila per acquistarl­i. I jeans ebbero così successo che nacquero marchi italiani come Rifle. Elio Fiorucci fu un cultore del jeans. Nel nostro negozio potevi acquistare anche i RayBan originali americani, l’eskimo, simbolo dei giovani di sinistra, e il bomber, simbolo dei giovani di destra allo stadio. Il jeans ha invece sempre unito, mai diviso; è un indumento trasversal­e, il più versatile e democratic­o che c’è». Sembra ieri, e invece siamo all’altro ieri. Centri commercial­i, il click sul carrello del web, usi e costumi completame­nte

«Tipi veronesi» è una proposta domenicale del Corriere di Verona che intende raccontare, attraverso la storia di personaggi più o meno famosi, l’evolversi della nostra città. Uno sguardo al passato rivolto al futuro affidato alla penna del nostro collaborat­ore Lorenzo Fabiano. Per eventuali segnalazio­ni scrivere a corrieredi­verona@corriereve­neto.it o a lorenzo.fabiano@me.com ribaltati: “Gli Sdraiati” comprano su internet, un indice che scorre sullo schermo del telefonino stando comodament­e sul divano e il gioco è fatto: «Acquisti sulla rete, e in 24 ore hai a casa tutto ciò che vuoi. Noi spendevamo la paghetta per una t-shirt, un paio di jeans, o un pezzo per il motorino; oggi le paghette finiscono negli spritz. Le ragazzine vengono qui con le foto delle Influencer postate sui social network e chiedono quello stesso modello, anche se magari non calza altrettant­o bene. Dobbiamo confrontar­ci con tutto questo. L’unico modo per riuscirci è offrire un buon servizio, capire e assecondar­e le esigenze di ognuno. Qui non vendiamo per vendere, ma per vedere il nostro cliente soddisfatt­o».

Due figli, Pietro sedici anni e Anna tredici: «Io non li forzo a venire qui, vorrei che fossero loro stessi a decidere del proprio futuro». La chiosa è sul jeans, il suo compagno di una vita: «Un’idea geniale, senza età. Più si consuma, più è bello e ti ci affezioni. E quando arriva a fine corsa è un dramma».

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 ??  ?? Terza generazion­e Guido Basevi lavora nel negozio di famiglia, fondato nel 1924, da quando aveva vent’anni (Foto Sartori)
Terza generazion­e Guido Basevi lavora nel negozio di famiglia, fondato nel 1924, da quando aveva vent’anni (Foto Sartori)

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