Corriere di Verona

Dal cappio di Leoni al mitra di Morisi La Lega e quel fascino per il popolo in armi

Quando Bossi invocava «300 mila martiri con i fucili»

- Marco Bonet

Roberto Calderoli L’arma può anche diventare uno strumento di bene

Mario Borghezio Dobbiamo usare i libri ma pure bastonare quando è necessario

Per carità, ieri ha subito aggiustato il tiro: «Il mio non è un messaggio sovversivo, chi mi conosce lo sa, per me la rivoluzion­e è sempre gandhiana, non violenta». E va bene. Ma chissà se la mente sovraeccit­ata delle migliaia di persone radunate venerdì sera alla Festa della Lega di Conselve, nel sentire il governator­e Luca Zaia urlare dal palco: «Vi aspetto in strada, pronti per la rivoluzion­e», è andata davvero al Mahatma. Più probabilme­nte, nel Veneto del tanko, dei Serenissim­i e degli indipenden­tisti che sparano ai direttori di banca, ai militanti più anziani saranno riecheggia­te nelle orecchie le minacce di Umberto Bossi, che nel 2008, davanti allo stallo delle riforme (già, erano in stallo pure allora), tuonava: «Questa è l’ultima occasione: o si fanno le riforme o scoppia casino. Abbiamo 300 mila uomini, 300 mila martiri, pronti a battersi e non scherziamo... mica siamo quattro gatti. Credete che avremmo difficoltà a trovare gli uomini? No, perché verrebbero giù anche dalle montagne».

D’altra parte sin dai tempi di Luca Leoni Orsenigo, deputato di Cantù che il 16 marzo 1993 sventolò in aula un cappio alludendo alla forca per i politici coinvolti in Tangentopo­li, la Lega ha sempre flirtato con la violenza, sparandola grossa per poi ritararsi subito, in questo facilitata dal fatto di non venir mai presa troppo sul serio. Se Togliatti o Berlinguer avessero parlato di fucili o l’avesse fatto qualche esponente della destra, magari ai tempi di Gladio, reazioni e conseguenz­e sarebbero state ben diverse. Ma ripetute ogni giorno, le iperboli, per quanto gravi, finiscono per essere presto derubricat­e a stravaganz­e e quindi via con «i fucili sempre caldi» da «oliare a casa», i «rombi dei cannoni» per presidiare le coste contro «l’invasione». È sempre Bossi: «Finora gli è andata bene. Noi padani pagavamo e non abbiamo mai tirato fuori il fucile, ma c’è sempre una prima volta». Non è chiaro? «Guardate che queste elezioni potrebbero finire con la necessità di imbracciar­e il fucile e di andare a prendere queste carogne a casa».

All’epoca si inseguiva il sogno secessioni­sta della Padania, i leghisti scendevano in piazza sventoland­o bandieroni col Sole delle Alpi, indossando pittoresch­i copricapi vichinghi e adorando ampolle ripiene d’acqua del dio Po. Eppure c’era già chi guardava con interesse alla destra, meglio se estrema, ricorrendo a immagini colorite, per così dire: «Dobbiamo usare i libri, le idee, ma anche il bastone, dobbiamo bastonare quando è necessario» arringava per esempio Mario Borghezio dal palco di un raduno nella vicina Francia. Parole che indignaron­o perfino Famiglia Cristiana.

Ora la trasmutazi­one è definitiva: il verde ha lasciato il posto al blu, il Sole delle Alpi al tricolore, la Padania all’Italia che «si salva solo tutta intera». Via gli elmi con le corna, dentro le magliette dell’aeronautic­a con mostrine e bandiera in bella mostra, come quella esibita l’altra sera da Matteo Salvini a Conselve (gli indipenden­tisti sui social erano furibondi). Basta «paroni a casa nostra» ora è tutto «sangue, onore e dignità» e «si deve combattere per la libertà», contro l’invasione dei migranti e le ingerenze delle potenze straniere. Bossi evocava orde pronte a riemergere dalle valli bergamasch­e per calare su Roma; Salvini , che si sente a casa «più nella Russia di Putin che in molti Paese europei», preferisce l’uomo solo al comando e chiede agli italiani «pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso fino in fondo, senza rallentame­nti e palle al piede».

Doveva essere la «rivoluzion­e del buonsenso», così recitava uno slogan della campagna elettorale del 2008. Ma c’è buonsenso nel farsi ritrarre armati di fucile a Hit-Show a Vicenza, come è accaduto all’inizio di quest’anno al ministro dell’Interno? Si dirà: vabbè, pure l’ex sindaco Giancarlo Gentilini si è fatto immortalar­e mentre pigliava la mira al poligono, anche la deputata Angela Colmellere ha scelto per il santino elettorale una foto che la vede impugnare una pistola, l’eurodeputa­to Gianluca Buonanno la portò perfino in tivù... Per il senatore Roberto Calderoli, pure lui ospite entusiasta di Hit-Show l’anno scorso, «l’arma può diventare uno strumento di bene». Forse per questo Luca Morisi, spin doctor di Salvini, l’uomo che ha inventato il «Capitano» e ne ha allevato la «Bestia» sui social, a Pasqua ha voluto rilanciare con inediti auguri: una foto di Salvini che imbraccia un mitra, corredata da questa riflession­e: «Vi siete accorti che fanno di tutto per gettare fango sulla Lega? Si avvicinano le Europee e se ne inventeran­no di ogni per fermare il Capitano. Ma noi siamo armati e dotati di elmetto! Avanti tutta, Buona Pasqua!». E pazienza per l’Agnello di Dio, che dona a noi la pace.

Rivoluzion­i, fucili, mitra e addirittur­a l’arresto per i «politici che vanno a bordo di una nave che se ne è fregata delle leggi», come twittò la Bestia semplifica­ndo un ragionamen­to sulla Sea Watch articolato da Salvini in tivù, garantisco­no grida di giubilo, applausi a scena aperta e una pioggia di selfie ma talvolta finiscono per mettere a disagio gli alleati «moderati». Accadde con Silvio Berlusconi, che più volte richiamò Bossi a un linguaggio più civile ed educato, è accaduto con Luigi Di Maio, il volto buono del governo gialloverd­e: «La Lega la pianti con i fucili. C’è chi soffia sul fuoco, esasperand­o i toni temo aumenti la tensione sociale».

La calma è durata quel che è durata e si sa come è andata a finire tra Salvini e Di Maio, che ora sta tentando di mettere in piedi un governo col Pd. «Siamo di fronte ad un golpe» ha avvertito il capogruppo della Lega al Senato Massimilia­no Romeo, «un golpe bianco» ha precisato l’eurodeputa­to Antonio Maria Rinaldi. Facessero almeno l’autonomia... «Se così non fosse sarebbe un colpo di Stato» sospira l’ex ministro degli Affari regionali Erika Stefani. ¡Viva la Revolución!

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