Germania, manovra da 50 miliardi per far uscire l’auto dalla crisi
Attesa tra le imprese venete per le misure del governo tedesco: può ripartire tutta la filiera
Il mondo economico italiano attende - non senza timori - di conoscere le linee guida della nostra prossima manovra finanziaria ma non è da meno l’attenzione che una larga componente della manifattura veneta rivolge, e non da ieri, a nord delle Alpi. A ciò che deciderà il governo di Berlino, in particolare sull’annunciato pacchetto da 50 miliardi in misure anti-recessione per un Paese che ha espresso una flessione del Pil di un decimo di punto nel secondo trimestre e che rappresenta, da sempre, il principale cliente per le esportazioni italiane.
Se i tedeschi hanno il fiato corto, in sostanza, il trasferimento dell’affanno alle nostre imprese, in primo luogo della metalmeccanica e con epicentro particolare sulla componentistica per l’automotive, è immediato e i numeri già lo confermano. Per comprendere quanto sia fondamentale per i nostri conti il rapporto con i tedeschi è sufficiente qualche dato sulla «filiera del valore aggiunto» diffuso pochi mesi fa dal centro studi di Intesa Sanpaolo in occasione del «German day» e che utilizza come indicatore le Catene globali del valore (Gvc). In pratica viene misurato il contributo che ciascun Paese conferisce nel percorso che i prodotti compiono nella loro realizzazione, da quando sono progettati alla loro immissione sul mercato fino al post vendita. Se a Germania, Francia e Spagna, insieme, si attribuisce il 7,1% di questo valore generato dalla nostra manifattura nazionale, la Germania da sola pesa per il 4,1%, un dato che sale al 5,1% nella metalmeccanica e al 5,4% nel comparto automobilistico. Tutti elementi che, dall’osservatorio veneto, diventano ovviamente più sensibili vista la popolata varietà di aziende attive nella componentistica per auto, e che dunque giustificano le nostre attese sullo sblocco e sull’impiego di quei 50 miliardi di cui ha parlato alcuni giorni fa il ministro delle finanze tedesco, Olaf Scholz.
Come saranno distribuiti fra le varie possibilità di rilancio dell’economia teutonica è tutto ancora in ipotesi ma «sono sicuro – ha detto il consigliere delegato della Camera di commercio italo tedesca, Jorg Buck – che vedremo investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, a cominciare da strade e poli logistici per proseguire con reti digitali a supporto delle innovazioni dei processi produttivi in questa direzione. E poi budget importanti destinati alla ricerca». Ma non solo. Se il settore automobilistico è di fatto il principale responsabile del rallentamento della macchina industriale tedesca, è lì che gli osservatori si attendono di veder concentrati gli sforzi maggiori, sotto gli sguardi ovviamente molto interessati delle imprese nostrane. «Quando parliamo di innovazione in campo automobilistico – avverte in ogni caso Buck – non si deve pensare solo alla mobilità elettrica. È su un autentico approccio sostenibile dei motori diesel che si stanno compiendo grandi riflessioni, siamo convinti che una reale evoluzione di questa tecnologia possa rappresentare un contributo importante per il futuro del trasporto privato».
Un intervento pubblico di tale portata in Germania «sarebbe una panacea» e di questo è assolutamente certo Federico Visentin, vicepresidente di Federmeccanica nonché amministratore delegato di Mevis, Spa della meccanica di Rosà con notevoli coinvolgimenti nell’automotive. «Il comparto dell’auto vale il 75% dei circa 85 milioni di fatturato di Mevis, la componente di gran lunga maggioritaria della nostra clientela è tedesca e nella prima metà di quest’anno registriamo un calo del 10%. Credo sia sufficiente per capire di cosa stiamo parlando». Alla radice del rallentamento, spiega ancora Visentin, c’è una grande indecisione nelle strategie industriali collegata al fattaccio del «dieselgate». Lo scorso autunno la pubblicazione di regolamenti più rigorosi rispetto a quelli che avevano lasciato spazio alle discutibili interpretazioni dei valori delle emissioni, cioè il tema di fondo delle contestazioni, ha indotto l’industria ad affrontare una pesante autocritica. «E questo – prosegue l’imprenditore vicentino – ha portato allo slittamento in avanti, di mese in mese, di progetti ai quali noi stessi stavamo collaborando».
Automobili ma non solo, però. Massimo Carboniero, presidente di Ucimu, l’associazione dei produttori di macchine utensili, ricorda che anche per questo segmento la Germania è per noi il primo mercato. «Per l’Italia e perciò per il Veneto. Nel secondo trimestre la flessioni dell’export sono state intorno al 20%. Credo anch’io – conclude – che comunque per i tedeschi sia decisivo un chiarimento sul futuro dei motori diesel».