Cavazzano a Paperopoli
Arte Una grande mostra a Mirano con oltre 200 opere. Dagli inizi con Romano Scarpa alla consacrazione internazionale Colori, movimento, humour Il disegnatore veneziano che ha reinventato il mondo Disney
Disegnavo le scene come se avessi una macchina da presa in mano e seguissi i personaggi Mi criticarono perché cambiai il tratto delle dita dei paperi
Mio padre, operaio alla Montedison, era comunista. Di fronte a casa nostra a Venezia c’era la sezione del Pci dedicata a Di Vittorio
Volesse scriverla, questa storia si intitolerebbe «Topazzano e la vocazione fulminea», e avrebbe finalmente lui, Giorgio Cavazzano, nei panni di Topolino: disegnare se stesso sarebbe l’apice e la licenza estrema. Ma sarebbe soprattutto una storia vera perché Giorgio Cavazzano non sarebbe lui, cioè il più celebrato, rappresentativo, emblematico ecc ecc disegnatore della Disney se non ci avesse messo lo zampino qualcuno in alto, molto molto in alto. L’arcano venne svelato da una telefonata arrivatagli nel 2007, quando per i suoi 60 anni la moglie Elena e i due figli gli fecero la sorpresa di una mostra di sue tavole allestita al casinò di Ca’ Vendramin Calergi. All’altro capo del filo don Paolo Donadelli, parroco a Jesolo: «Il Casinò non è posto per un prete, ma volevo dirle che ero io l’assistente di Romano Scarpa che se ne andò all’improvviso. Qualche giorno prima avevo avuto la vocazione e ho deciso». Era il 1961, Romano Scarpa era il top dei disegnatori Disney
italiani, veneziano. Cavazzano aveva 14 anni, andava al Lido in vaporetto con una cartella di disegni di suo cugino Luciano Capitanio e alcuni amici. Una ragazza vide i disegni («Hanno mitizzato un colpo di vento che ha fatto volare quelle carte e lei le ha viste: ma no, i miei amici mi fecero aprire la cartella»). Fatto sta che quella ragazza era la morosa di Scarpa, e che il ragazzino Cavazzano si fa dare il numero di telefono: di lui, non di lei. Neanche il tempo di arrivare a Santa Maria Elisabetta che gli telefona. Si vedono, due giorni dopo il giovanissimo Giorgio viene «preso» come inchiostratore. Fortuna sfacciata? Il fatto è che Scarpa era rimasto senza assistente, che era Paolo Donadelli, e un paio di giorni prima aveva ricevuto la chiamata dall’alto. Così Donadelli si è curato delle anime (parroco amatissimo, oggi non c’è più) ma anche Cavazzano si è dedicato allo spirito, quello di bambini, ragazzini e, come no?, quello dei loro papà conquistati dai fumetti.
Vabbe’ la provvidenza, poi Giorgio ci ha messo del suo. Tanta gavetta, andando in studio da Scarpa a imparare e soffrire. Cavazzano cresce e «sente» il ‘68 nell’aria: si muove tutto, il cinema insegna, l’aria è più frenetica, e non c’entra la sinistra. Racconta Giorgio: «Mio padre, operaio alla Montedison, era comunista. Di fronte a casa nostra a Venezia c’era la sezione del Pci dedicata a Di Vittorio, il primo colore che ho visto era quello delle bandiere rosse. Ma io sono sempre stato repubblicano». Cavazzano è comunque la nuova generazione, vuole innovare: Scarpa bravissimo ma sempre quello, e gli allievi lo copiano e basta. Giorgio inserisce dinamismo nelle storie e nei personaggi, c’è più azione («Disegnavo le dita in modo diverso, e mi rimproveravano»), prende tutti in contropiede. Vuole tagliare il cordone ombelicale con Scarpa, gli editori cercano di metterlo in riga: «Cavazzano, lei deve tornare ad essere Disney». Insomma, divorzio, si mette in proprio, va in Francia dove lo apprezzano come lui apprezza loro: ha visto Asterix, Goscinny e Uderzo lo affascinano, è un modo nuovo di fare fumetto e anche un’altra cultura. Con Romano Scarpa, fortunatamente, farà pace anni dopo: «È stato comunque il mio maestro, senza di lui non avrei fatto nulla». Cavazzano piano piano si impone per il suo stile, tutto è più vivo, meno scontato, le tavole hanno formati diversi, l’angolo visuale non è solo frontale. C’entra il cinema: «Disegnavo le scene come se avessi una macchina da presa in mano e seguissi i personaggi». Ovvio che la Disney italiana lo richiama, quando diventa direttore Gaudenzio Capelli. Rivincita e consacrazione. In Francia gli capita di diventare direttore artistico di
Pif, e mette il naso nell’emisfero nord. Piace anche lì, naturalmente: Paesi Bassi, Germania, Svezia e Norvegia. In Finlandia va sei volte, disegna la parodia di un film di Aki Kaurismaki, «Il papero senza passato», e il regista ne è entusiasta.
Ma adesso c’è questa mostra a Mirano, oltre 200 disegni per cui non sono bastati gli spazi di villa Giustinian-Morosini «25 aprile», e ci è voluta anche la barchessa. È la terza volta a Mirano, suo paese d’elezione e quindi omaggio sincero («Qui si parla con la gente per strada»), ma è la più completa perché dentro ci sono esattamente 58 anni di carriera. Il curatore Francesco Verni ha avuto il suo daffare, scegliere Cavazzano è proprio difficile: cosa escludere? Il rigore dell’allestimento non riesce a frenare l’aria di festa e l’allegria pervasiva. Dai disegni in bianco e nero alle tavole a colori, Disney e tutto il resto, visti a tu per tu negli originali. Inutile descriverli, bisogna vederli da vicino, per apprezzare la perizia tecnica ma soprattutto quella ventata di aria fresca e colorata che sprigionano. C’è un acrilico di grande formato che si rifà a Dalì e al surrealismo, così vivo che sembra in movimento, il frame bloccato di un film, e le gambette secche di Pippo sembrano proprio muoversi. Ma anche una strega Amelia tenebrosa e conturbante di soli capelli neri: è la lezione delle ombre e dei contrasti, magister Hugo Pratt. E gli originali degli otto francobolli realizzati per i 90 anni di Topolino: dovevano tirarne un milione di copie, ne hanno dovuti stampare otto milioni... Giorgio Cavazzano, si sa, non è una scoperta, ma qui riesce a dire come ogni volta qualcosa di più. Pensano ad un’antologia su di lui, una specie di «opera omnia»: dovranno mettere assieme 29 mila tavole.