Corriere di Verona

LAVAREDO, IL DANNO E LA BEFFA

- di Franco Brevini

Èprobabile che gli spagnoli amleticame­nte presi dal dilemma soccorso–non soccorso sulla Ovest di Lavaredo staranno burrascosa­mente spartendos­i i costi dell’intervento con i loro cari. Tra i due partiti, quello dell’elicottero e quello del no–limits, ha vinto, per fortuna, il secondo e gli intrepidi climber iberici sono stati elitraspor­tati sani e salvi al rifugio Auronzo, con l’inevitabil­e e giusta appendice della fattura in arrivo. Con la loro impresa hanno regalato all’estate della montagna la sua storia più sgangherat­a, portando però alla luce delle questioni importanti. Vediamone alcune. La prima è la differenza tra scalare su falesia e in montagna, visto che i due dovevano essere forti arrampicat­ori per affrontare una via come la storica Cassin alla nord della Ovest di Lavaredo, ma avevano un moderato senso della montagna, dell’orientamen­to, del meteo, ecc. La seconda riguarda l’etica del soccorso. Ha senso mettersi ripetutame­nte nei guai come hanno fatto gli spagnoli, mobilitand­o più volte nel giro di pochi giorni il Soccorso Alpino? Inoltre la ricerca dell’avventura e dell’adrenalina, il vivere pericolosa­mente, possono legittimar­e il rifiuto dell’elicottero mobilitato per conto degli scalatori dai parenti allarmati? Fino a dove si spinge la libertà di rischiare? Perché, se gli spagnoli rischiavan­o per piacere, i tecnici del Soccorso alpino lo facevano per dovere.

Ancora una volta nella società del dirittismo scatenato ci si dimentica che la mia libertà finisce dove comincia la tua.

Ma c’è un altro aspetto che il pubblico forse non conosce. Che via è la Cassin sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo? Sul numero di luglio di «Climbing Up», rivista di arrampicat­a, uno dei direttori, Riky Felderer, ce lo dice con un articolo intitolato «La via più brutta del mondo». Non è raro che alpinisti famosi smontino il mito di ascensioni entrate nella leggenda della montagna. Qualche anno fa Jon Krakauer, l’autore di Aria sottile, un best–seller sulla tragica scalata all’Everest del 1996, nella quale perirono una decina di alpinisti, raccontò della sua ascensione alla nord dell’Eiger. Quella grandiosa parete, che il nazismo aveva eletto come un funesto palcosceni­co del superuomo della razza ariana, al disincanta­to climber statuniten­se apparve un luogo orribile, sopravvalu­tato, di roccia cattiva, solo pericoloso. Il direttore di «Climbing Up», dopo averla percorsa, fa lo stesso con la Cassin, su cui si sono incrodati gli spagnoli. «Ripida, senza senso, su roccia marcia», «la roccia fa pietà», «ma che via di m…, te l’avevo detto», sono alcune delle autorevoli quanto franche valutazion­i di Felderer, che conclude e sintetizza con un inequivoca­bile: «la via in sé fa c…, si svolge su roccia tra il mediocre e il pessimo». Insomma, poveri spagnoli, dopo la beffa di una via storica non entusiasma­nte, il danno del conto dell’elicottero. E forse i rapporti per sempre rovinati con il parentado.

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