Bpvi, i 2,4 miliardi statali a Intesa decisivi per far scattare l’insolvenza
La sentenza d’appello: deficit di 436 milioni. E i giudici citano la perizia su Veneto Banca
Popolare di Vicenza, i 2,4 miliardi di euro di contributo statale a Intesa vanno messi sul conto. E bastano da soli a farne scattare l’insolvenza. Per almeno 436 milioni, senza necessità di ulteriori perizie sui conti. È la sostanza della sentenza del 18 luglio, ma pubblicata l’altro ieri, con cui la prima sezione civile della Corte d’appello di Venezia, guidata da Domenico Tagliatela, ha respinto il ricorso dell’ex presidente Bpvi, Gianni Zonin, contro la sentenza del Tribunale di Vicenza che aveva dichiarato Bpvi insolvente per 3,3 miliardi, sulla base della richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica.
Ricorso respinto, sia nella richiesta di rigettare l’insolvenza, sia in quella di affidare una nuova perizia sui conti. Con una sentenza di 28 pagine che rischia di esser decisiva in più sensi. Per la possibilità di indagare sul fronte penale anche per bancarotta. A tenere al palo l’estensione dell’indagine potrebbe essere il ricorso in Cassazione di Zonin. Fatto non scontato per i difensori in sede civile, Lamberto Lambertini e Giovanni Aquaro: da quel che si capisce le valutazioni saranno approfondite per capire se ci sarà spazio per un ricorso che abbia davvero possibilità di ribaltare il giudizio.
Sentenza decisiva anche perché, indirettamente, «salva» la liquidazione delle due venete attraverso Intesa e un corposo contributo statale. Necessario, per i giudici, a salvare una banca decotta che il mercato non voleva. E decisiva, forse, anche nel confronto incrociato con la parallela causa di Veneto Banca. I giudici di Bpvi non solo hanno tenuto conto della perizia affidata dai colleghi dell’appello su Montebelluna a Lorenzo Caprio (depositata dal difensore degli ultimi cda di Atlante in entrambi i processi, Lorenzo Stanghellini), che conferma l’insolvenza; ma ne citano anche un passaggio tra gli elementi rilevanti per decidere. E c’è già da chiedersi quanto ora la sentenza Bpvi potrà pesare sul giudizio di Veneto Banca, in aula a fine mese.
Dunque la sentenza rigetta il ricorso. Stabilendo una serie di punti fermi. Intanto conferma la linea delle decisioni di primo grado di Bpvi e Veneto Banca, che va accertata l’insolvenza non di una banca in bonis, ma di una che il 25 giugno 2017, giorno della liquidazione, aveva già perso la continuità aziendale. Linea che toglie dai guai gli ultimi cda di Atlante e sposta il tiro sugli atti distrattivi avvenuti nell’epoca della gestione Zonin, a partire da quelli evidenziati nell’azione di responsabilità. Confermato anche che il nodo centrale da valutare è il deficit patrimoniale, ovvero se il patrimonio era sufficiente per far fronte ai creditori.
La sentenza d’appello, per altro, non manca di censurare quella presa a Vicenza dal collegio presieduto da Giuseppe Limitone. La difesa di Zonin aveva presentato nel ricorso una lunga serie di critiche. Che in buona parte l’appello fa proprie, quand sostiene che «non può essere condiviso quanto affermato dal Tribunale da pagina 7 a a pagina 14». Lì si citano sintomi dell’insolvenza «che tali non possono esser considerati». Così, la decisione Bce di dichiarare prossima al dissesto Bpvi «non può condurre direttamente alla conclusione che in quel momento la banca fosse insolvente», così come non è «pertinente» il fatto che il sistema bancario non volesse salvare Bpvi o che le azioni fossero cadute a 10 centesimi.
Ma l’appello salva la sostanza del primo grado. I giudici partono da un assunto. Per le parti è pacifico che la liquidazione coatta, con l’affidamento della
good bank a un’altra banca con una gara, sia soluzione migliore «per la salvaguardia del sistema bancario» e per spuntare un prezzo più favorevole rispetto alla liquidazione «atomistica». Di qui si arriva al nocciolo. Cioè come considerare i 2,4 miliardi di euro di contributo statale a Intesa (1,8 di contributo patrimoniale e 620 milioni di oneri di ristrutturazione). La perizia in primo grado di Bruno Inzitari li sottrae dal patrimonio di Bpvi, come componente negativa del prezzo di cessione. Linea contestata dai difensori di Zonin: nel bilancio di Intesa avevano creato una plusvalenza di 363 milioni; ma contestata anche dall’ultimo Cda di Atlante, perché è una posta che si crea dopo la data di liquidazione.
I giudici invece concludono che il contributo a Intesa va tenuto in conto per stabilire «il valore di mercato del compendio ceduto». «È dirimente osservare - si legge nella sentenza - che i contributi ha(nno) costituito presupposto imprescindibile della proposta di Intesa», l’unica rimasta in campo. E al prezzo negativo di mercato «va parametrato il valore di liquidazione, non potendo la valutazione della good bank prescindere dalle condizioni oggettive del mercato esistenti».
I giudici non danno troppo peso all’idea che la gara sulle venete avesse ben poco di competitivo. E valutano ben di più la tesi che viene dalla Ctu di Veneto Banca che in tutti i casi di banche in crisi passate di mano - Carife, Marche, Etruria, Carichieti, Caricesena, Carim e San Miniato - gli acquirenti hanno chiesto contributi non a loro carico.
L’appello conclude che «correttamente ha ritenuto il giudice di primo grado che i contributi per 2.441 milioni vadano a formare il prezzo complessivo della cessione dell’insieme aggregato». E già così, con un patrimonio netto di 2.005 milioni, Bpvi è insolvente per 436 milioni. Tanto basta, senz’altre perizie su attività fiscali differite (Dta), il cui impatto è per i giudici neutro, o i crediti, che potrebbero solo peggiorare il quadro.