Una Marghera mai vista Segre, l’impegno nel cuore
«Il pianeta in mare» del regista padovano, scritto con Bettin:« Problema nazionale»
Se il mondo cambia, anche Marghera cambia. Non è quel mondo immobile che sembra da fuori, quando si posa lo sguardo distrattamente da quella parte pensando: ah sì, là un tempo c’era il polo chimico più importante d’Italia. Eppure il mondo va avanti e può capitare che un operaio del Petrolchimico di Porto Marghera di 26 anni non abbia mai messo piede nel famoso Capannone sede del consiglio di fabbrica, dove gli operai si riunivano per discutere, dove sono nate le lotte sindacali e dove si sono consumati gli scontri politici degli ultimi anni in città. Il suo stupore, che è anche lo stupore di chi conosce il valore simbolico di quel luogo, è catturato da Andrea Segre in una scena del suo documentario Il pianeta in mare, il film dedicato all’universo Marghera approdato ieri alla Mostra del Cinema fuori concorso.
Il regista padovano l’ha scritto insieme a Gianfranco Bettin, sociologo, scrittore e presidente della Municipalità di Marghera. Dopo il passaggio al Lido e a Effetto Notte con proiezioni a Venezia e Mestre, il documentario verrà proiettato domenica all’arena estiva di Marghera e poi uscirà
nelle sale il 26 settembre (info: www.zalab.org). Ciò che si apre davanti agli occhi dello spettatore, è un quadro composto da tanti volti e tante storie, ognuna rappresenta una tessera del mosaico che è oggi quel luogo: c’è Viola Bovo, cuoca nella trattoria «Il ristoro» detto «Da Viola», meta di camionisti e operai che dipinge il cambiamento dal suo personale punto d’osservazione con un carattere da autentico personaggio cinematografico; ci sono i due operai ex Vynils, Nicoletta Zago e Lucio Sabbadin, che sei anni fa erano saliti sulla torre alta 150 metri per gridare la loro protesta contro la perdita del posto di lavoro; ci sono i due operai che entrano nel Capannone, i tanti operai stranieri e
non che lavorano alla Fincantieri, poi gli ingegneri della Bioraffineria di Eni e i due imprenditori della neweconomy, Marco Dalla Libera e Giulio Marcon della Alpenite, una realtà che ha trovato base a Marghera e che svolge un lavoro di consulenza in ambito di trasformazione digitale.
«Ho cercato persone che avevano il coraggio di porsi domande anche sul futuro – ha spiegato ieri Segre – partendo dal passato e dal presente, chi aveva voglia di chiedersi cosa faremo di Marghera, che è un luogo metafora del rapporto che non ha funzionato tra industria e natura. La sfida era provare a raccontare un luogo sia per chi pensa di conoscerlo che per chi non lo conosce». Nascono le inquadrature dentro Fincantieri, la vista dall’oblò di una nave ideale dentro un pianeta fatto di oltre sessanta nazionalità diverse: «Io fin qui ho sempre parlato di immigrazione raccontando i punti di arrivo – ha spiegato il regista – quando sono entrato dentro la Fincantieri ho detto: “Questo è un pezzo di mondo che dobbiamo raccontare!” Chi salda a mano una nave? Eppure è così che funziona». «L’idea – ha aggiunto Bettin- era raccontare l’enorme potenziale che ha Marghera. C’è molto futuro dentro il film, anche quando mostra le rovine». La risposta non può arrivare dal film, ma la speranza è che il lavoro intellettuale porti a farsi domande e a cercare risposte, «perché – spiega Segre – Marghera appartiene alla progettazione politica nazionale».