IL NORDEST NEL QUADRO GIALLOROSSO
Non è solo un nuovo governo: è un nuovo quadro politico, quello che si sta delineando. E una nuova stagione: che potrà avere effetti fino a ieri inimmaginabili anche a livello regionale e locale. La rapidità del cambiamento nel paesaggio politico verrà ricordata come la più repentina della storia repubblicana. Solo ieri sembrava si stesse delineando la marcia trionfale di Salvini e della Lega verso un governo di centro-destra dalla maggioranza blindata. A pochi giorni di distanza è già istituzionalizzato uno scenario inedito e opposto, che relega il centrodestra all’opposizione. Merito (colpa, secondo i punti di vista) di Salvini, che ha voluto giocarsi il travolgente crescendo nei sondaggi nel momento e nel modo sbagliato: con quello che passerà agli annali come uno dei più clamorosi autogol della storia politica postbellica. Un suicidio non assistito (ha fatto tutto da solo), i cui effetti si sentono già: con Salvini stesso non più al centro dei radar della comunicazione, che inondava in maniera debordante, con grande capacità, fino a ieri. Si riprenderà, e anche presto, e metterà in gioco tutto il suo peso: ma intanto il danno è stato fatto. Privo di quel formidabile palcoscenico che era il ministero dell’Interno, e il ruolo di vicepremier, usati come macchina teatrale ed elettorale, è ipotizzabile che con la stessa velocità con cui è salito, il consenso popolare potrebbe diminuire, anche se certamente si attesterà su livelli molto più alti di quelli da cui partiva alle elezioni.
In questo senso, mezza vittoria per il fronte anti-sovranista c’è: il rovesciamento degli equilibri nel centrodestra è nelle cose, la visibilità della sua leadership pure. E potrà essere utile alla prossima scadenza elettorale, vicina o lontana che sia. Ma è successo anche altro, che potrebbe costare qualcosa a Salvini e alla Lega. E’ vero che la platea dei sostenitori
è cresciuta e si è galvanizzata. E’ altrettanto vero però che una componente crescente di opinione pubblica – anche di centrodestra – si è sempre più infastidita dello stile istituzionale ingombrante e irrituale, per usare una parola sobria che poco si attaglia al modo con cui Salvini ha esercitato il suo ruolo, e delle derive che lasciava prefigurare. Come spesso succede: più ti caratterizzi in un senso, più crei le condizioni per una caratterizzazione non uguale di peso ma certamente contraria. E’ già accaduto ad altri leader del recente passato, in altre aree politiche: si pensi a Matteo Renzi. La scommessa è sulla durata del governo: che, di suo, nasce fragile, esposto agli sbandamenti di una maggioranza per ora posticcia, agli strali di un’opposizione incattivita, alle temperie di provvedimenti dolorosi, soprattutto sul piano economico, che dovranno essere presi. Più sarà lunga, più il Salvini «fenomeno» si depotenzierà in favore del Salvini semplice capo politico, e più gli italiani si abitueranno al clima mutato, i nemici interni alla sua area si rafforzeranno, quelli esterni si riconfigureranno. E qui stanno le novità anche locali. Se durasse – il se è d’obbligo – ci potrebbe essere il tempo di trasformare l’alleanza in qualche modo forzata di governo nell’interesse strategico a riprodurla anche sul piano regionale e locale. In Veneto questo significherebbe l’unico possibile tentativo di intaccare il regno incontrastato di Zaia, in qualunque altro scenario inscalfibile: molte giunte troverebbero altra configurazione di governo, trasformando uno Zaialand quasi uniformemente virato al verde in un territorio più a macchia di leopardo. Inoltre la discesa in campo di Calenda (campione di preferenze alle europee nel Nordest) con un proprio partito, dopo aver portato molti voti non suoi al Pd, promette di cambiare gli equilibri anche in quest’area: riconfigurando il profilo dell’elettorato moderato della regione, che potrebbe contare anche su una sponda liberalprogressista. E anche questo aiuterebbe l’evoluzione del quadro politico verso orizzonti inesplorati: fino a ieri nemmeno pensabili.