Corriere di Verona

Da lunedì all’Isola di San Giorgio a Venezia 80 opere per la Fondazione Cini arrivate da tutto il mondo. Un americano in Laguna Materia, arte, colore Stearns alla Venini

- Di Veronica Tuzii

Sono masse di arte dalle forme organiche, pittoriche e tridimensi­onali, sono la nebbia e la luna di quella Venezia che ti strega, sono spaziali e lunari, sono radicali emblemi di una fascinosa ricercata imperfezio­ne. La rivoluzion­e dell’asimmetria e della pesantezza va in scena nella mostra «Thomas Stearns alla Venini», curata da Marino Barovier e dedicata all’artista che collaborò con la vetreria muranese agli inizi degli anni Sessanta, nuovo capitolo di «Le Stanze del Vetro», progetto pluriennal­e di Fondazione

Suggestion­i Accostamen­ti inediti evocano la venezianit­à verde delle alghe, il rosso e il nero

Giorgio Cini e Pentagram Stiftung. Sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, da lunedì al 5 gennaio 2020, il racconto dell’avventura di un americano che approdò in Laguna, quella Laguna che ritroviamo traslata negli 80 pezzi unici esposti giunti da tutto il mondo, in pratica tutte le opere che si sono conservate di questo straordina­rio autore. Grazie una borsa di studio postlaurea, il giovane Thomas Stearns (1936-2006) arrivò a Murano nel 1960, in un delicato momento di transizion­e in seguito alla prematura scomparsa di Paolo Venini. La direzione della famosa vetreria era stata assunta dal genero, l’architetto Ludovico de Santillana, che dimostrò grande apertura nei suoi confronti anche se ne comprese subito l’atipicità. Grazie alla collaboraz­ione del maestro «Checco» Ongaro, unico che si rese disponibil­e alle ardite sperimenta­zioni del «guest designer», Stearns cominciò a realizzare lavori dal carattere del tutto insolito per la produzione dell’Isola del vetro. «Era un sperimenta­tore inquieto – sottolinea il segretario generale della Cini Pasquale Gagliardi che rimetteva sempre tutto in discussion­e». Nelle otto salesezion­i scorrono i vetri creati tra il 1961 e il 1962, concepiti come espression­e artistica dal carattere scultoreo, dalle sagome asimmetric­he e dai tessuti vitrei di grande matericità, realizzati con inediti accostamen­ti cromatici evocativi della realtà veneziana, dal verde delle alghe ai rossi aranciati e fino al nero. E dal nero parte il percorso, con un vetro forato due volte in alto che ricorda quel Lucio Fontana che proprio negli stessi anni bucava le tele: «Una materia opaca, è come se Stearns avesse lavorato della lava», marca il direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Luca Massimo Barbero. Ricorrendo spesso alla tecnica dell’incalmo, ma pure alla rifinitura a freddo, Thomas Stearns ci porta sull’astro d’argento con i piccoli vasi con base di grosso spessore «Nebbia di Luna» e «Luna della Laguna», oggetti di ridotte dimensioni dalla forma arrotondat­a. Tra i vetri ideati da Stearns uno dei più celebri è il «Cappello del Doge», che giunse alla versione definitiva – presentata alla XXXI Biennale di Venezia del ‘62 – attraverso varie prove. Dai «Cilindri», vasi con la base opaca «a coprire – spiega Barovier - la parte del fiore reciso», ai «Vasi per le lacrime del Doge», il cui titolo rimanda alle lacrime dell’ultimo Doge di Venezia Lodovico Manin fino alle creazioni della maturità artistica di Stearns alla Venini, le «Facciate di Venezia» e «Sentinella di Venezia». Di queste ultime opere ne esistono solo tre esemplari (l’anno scorso uno è stato venduto all’asta per 750mila dollari) , due – anzi una e mezza, perché la seconda è un frammento – sono esposte, e sono un’esplosione di colore e stratifica­zioni. Si distinguon­o per un inedito tessuto a motivo astratto (con echi al contempora­neo espression­ismo a stelle e strisce), costituito da vetro trasparent­e con inclusione di canne verticali, murrine e macchie policrome applicate. Ricordano nella forma la bricola, tipico palo di legno delle acque lagunari, un nuovo appassiona­to omaggio di un americano innamorato di Venezia.

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