Pierre Cardin: «Io, l’amore la moda, l’arte e gli affari»
Mostra del Cinema Il film sulla storia e la vita dello stilista «Rimpianti? Il Palais Lumière»
Per i suoi abiti con gli oblò e il gusto così moderno impazzirono in tante. Ma una in particolare entrò nel suo cuore e non se ne andò più. C’è il sodalizio tutto speciale tra Pierre Cardin e Jeanne Moreau nel documentario House of Cardin, delizioso gioco di assonanze con House of Cards ideato dai registi David Ebersole e Todd Hughes, passato ieri al Lido nelle Giornale degli Autori. E c’è anche molto di più. Perché Pierre Cardin, anzi Pietro Cardin, 97 anni, nato il 2 luglio del 1922 a Sant’Andrea di Barbarana, Treviso, ultimo di nove figli e scappato in Francia con la famiglia quando aveva solo due anni, in oltre 70 anni di carriera ha lasciato il segno inventando il prét-àporter, la moda a minor prezzo accessibile a più persone, oggetti d’arredamento e di design che hanno fatto scuola, vestito attrici, modelle, aperto mercati come Cina e Giappone. Nel suo palazzo veneziano Ca’ Bragadin, che chiama vezzosamente «umile dimora» e che si diverte a descrivere come il luogo dove Casanova «ha ballato e bevuto» e dove quando diceva «vado un attimo in bagno, in realtà scappava da una porta segreta». Dopo il passaggio veneziano, il film
uscirà nelle sale a marzo 2020 grazie a I Wonder Pictures ed è una chicca da non perdere, per comprendere meglio la storia della moda e conoscere da vicino un personaggio che di sé può dire: «Ero un bel ragazzo e tutti mi volevano: Visconti, Pasolini…».
Cardin, cosa prova a essere a Venezia con un documentario tutto su di sé?
«Ho già lavorato nel cinema. Ho lavorato con Cocteau per il quale feci i costumi della Bella e la Bestia, con Luchino Visconti, Mauro Bolognini, e naturalmente Jeanne Moreau. Tutti i grandi artisti erano mie amici, eravamo molto vicini. Io ero giovane e avendo cominciato presto sono stato giovane molto a lungo».
Si considera francese o italiano?
«Sono francese e italiano. Sono venuto via che avevo due anni, io e la mia famiglia siamo andati via per la guerra. Siamo arrivati in Francia ma io volevo andare a Parigi. Noi scappavamo e abbiamo trovato i tedeschi alla frontier, è sta
ta dura».
Nel documentario si dice che è un extraterrestre della moda. Si riconosce?
«Sono sempre stato molto affascinato dallo spazio perché è lontano. Prima avrei voluto anche andarci, adesso sono troppo vecchio».
Nel film il messaggio è che bisogna essere liberi. Lei si considera libero?
«Tutto quello nel mondo che è Pierre Cardin, comprese le licenze, con cui ci si arricchisce, sono mie. Gli altri marchi hanno dietro colossi come Arnault, io non ho partner, resisto: tutto ciò che vedete, compresi bicchieri, sedie, è Pierre Cardin. E poi non sei un creatore se copi: va bene ammirare gli altri, ma è fondamentale rispettare se stessi»
Il suo rapporto con Yves Saint Laurent? Nel documentario si vede una foto di voi due strappata.
«Yves Saint Laurent è classico, ma se chiudi gli occhi non sai dare un’identità. Pierre Cardin ha un’identità».
Ha un rimpianto pensando al progetto fallito del Palais Lumiére a Marghera?
«E’ una lunga storia. Ci sono state gelosie, la politica e io non sono un politico. La politica è la politica, non è un mio problema. Ora sto portando avanti il progetto di un centro culturale a nord di Parigi, 10mila metri quadri di spazio per tutte le arti». Da dove le viene il senso degli affari?
«Dall’istinto».
Nella sua vita c’è stata Jeanne Moreau. Nel film si vede la dedica che lei le fece, ricordando una notte d’amore all’hotel Danieli. Poi André Oliver. Che ruolo ha avuto l’amore nella sua vita?
«Molto importante: ero abbastanza raffinato, non ero un brutto ragazzo. Gli ammiratori non mi mancavano».