Enrico Mantovanelli lo sport come «metafora di vita»
Il presidente del Panathlon Verona, un passato da ciclista e una missione: «Trasmettere valori»
Due ruote «Da bimbo in bici alle gare ero sempre ultimo, poi la svolta»
L’impegno «Soffrire e relazionarti con gli altri, questo è l’insegnamento»
«Tipi veronesi» è una proposta domenicale del Corriere di Verona che intende raccontare, attraverso la storia di personaggi più o meno famosi, l’evolversi della nostra città. Uno sguardo al passato rivolto al futuro affidato alla penna del nostro collaboratore Lorenzo Fabiano. Per eventuali segnalazioni scrivere a corrierediverona@corriereveneto.it o lorenzo.fabiano@me.com
Non esiste una discesa se prima non hai sudato e annaspato su una salita. Fatica, sacrificio, rispetto: lo sport palestra di vita, recita il più azzeccato dei luoghi comuni. In un paese dove la cultura sportiva spesso si evoca, soprattutto tra la generazione digitale e sdraiata, per la sua latenza, c’è chi come Enrico Mantovanelli ne ha fatto una crociata. Presidente del Panathlon Club Verona dal 2018, la sua è una storia di tenacia e straordinaria intraprendenza passando per il dolore. Un fratello maggiore, Alberto, papà Giampietro ex ciclista e presidente
per 40 anni di Acsi-Udace (Unione degli Amatori Ciclismo Europeo), mamma Marilena a casa con nonna Lina che oggi ha 97 anni e la domenica mattina tira ancora la pasta. Enrico nasce e cresce in Borgo Roma nel 1975: «In bici ho cominciato ad andare quando avevo sette anni – racconta -. Tutte le domeniche mio padre mi portava alle corse: ho iniziato a gareggiare a otto anni, ma arrivavo sempre ultimo». Enrico scopre la mountain bike e si laurea campione veneto, ritrova il ciclismo su strada quando ha 14 anni e studia Ragioneria al Pindemonte in Corso Cavour. In bici è quello che gli addetti ai lavori battezzano «passista veloce»: «Ripresi dagli Allievi con la Bruno Gaiga di Santa Lucia, al secondo anno vinsi il titolo provinciale; tra gli Juniores passai alla Riboli Val d’Illasi, fui convocato in azzurro e presi parte ai mondiali juniores di Perth in Australia dove l’Italia trionfò con Giuseppe Palumbo». Enrico ha 17 anni, quando passa dilettante e sogna un futuro da professionista. Nel 1995 assolve il servizio militare a Bologna in Compagnia Atleti insieme a campioni di domani come Paolo Bettini e Giuliano Figueras. La strada sembra spianata ma nel muro delle certezze si aprono crepe: sono quelli gli anni in cui il ciclismo più che inquinato è letteralmente insozzato dagli apprendisti stregoni. Enrico, che nel frattempo si è diplomato, non può sentirsi più lontano da quel mondo, inizia a pensare e progettare un futuro diverso, e quando nel 1997 vince un concorso in banca, svolta secco. Nel 1999 conosce Elisa che all’altare porta due anni dopo. Partito dallo sportello, nel 2007 è già direttore: «Il mondo bancario stava cambiando: il rapporto umano non era più la base, i numeri contavano sempre di più rispetto alle persone, così decisi di dire basta e ripartire da zero. Mi aprii la partita Iva e intrapresi il percorso di consulente finanziario, quale oggi sono». Nel 2018 scriverà pure un libro, «L’Ultimo scatto», in cui affronta il tema del delicato passaggio generazionale nelle aziende famigliari. Nascono due figli, Anna e Fabio: corre il 2012 quando l’amico Federico Vantini diventa sindaco di San Giovanni Lupatoto in una lista civica; Enrico che lo ha affiancato e sostenuto, è il nuovo assessore dello sport: «Realizzammo progetti d’inclusione per i disabili; San Giovanni ottenne il titolo di Città Europea dello Sport. Furono tre anni splendidi, pieni di idee ed energia. Sorsero poi contrasti che divennero insanabili, e così lasciai: con Federico abbiamo superato negli anni le divisioni e siamo oggi di nuovo buoni amici». La vita di Enrico subisce un duro colpo il giorno di Ferragosto del 2015, quando perde il fratello Alberto stroncato da un male incurabile. Lascia una moglie e una figlia: «Un dolore atroce investì la nostra famiglia. “Se guarisco, voglio aiutare chi soffre” mi diceva Alberto sul letto dell’ospedale. Aveva perso la fede, che ritrovò poco prima di lasciarci dopo che gli avevo portato l’acqua del Santuario di Collevalenza. Ci ripromettemmo che ci saremmo andati un giorno insieme in bicicletta dopo la sua guarigione. Non fu possibile; due anni fa ci andai io in sella alla sua bici insieme ad un amico». Enrico è sempre rimasto nel mondo del ciclismo: cinque anni prima della scomparsa di Alberto, ha fondato una squadra: dal 2015 organizza ogni prima domenica di settembre una giornata in bicicletta il cui ricavato è devoluto all’Associazione Le.Viss (Leucemia Vissuta) e una pedalata per i bambini i cui fondi sono destinati ad Abeo.
Da due anni presiede la squadra Autozai-Contri Spumanti, una delle maggiori in Italia quale vivaio di giovani talenti. A gennaio dello scorso anno Enrico è succeduto all’avvocato Federico Loda alla presidenza Panathlon di Verona: «Lo sport è metafora di vita; t’insegna a soffrire e relazionarti con gli altri. Con Panathlon ci impegniamo a trasmettere questi valori, fondamento di una società civile. Questa è la nostra battaglia».