L’autunno caldo delle aziende in crisi 2.000 posti a rischio
Donazzan: occorrono piani industriali chiari
Il prossimo autunno «sarà caldissimo» e a rischiare il loro posto di lavoro, considerando soltanto i maggiori casi di crisi aziendali seguiti dalla Regione Veneto, sono più di duemila persone. Le imprese in difficoltà diminuiscono numericamente ma quelle coinvolte sono di dimensione via via crescente.
Punto uno, il prossimo autunno «sarà caldissimo» e a rischiare il loro posto di lavoro, considerando soltanto i maggiori casi di crisi aziendali seguiti dalla Regione Veneto, sono più di duemila persone. Punto due, le imprese in difficoltà diminuiscono numericamente ma quelle coinvolte sono di dimensione via via crescente. E ciò che innesca la fragilità è quasi sempre la debolezza del settore in cui operano, più che scelte sbagliate di natura industriale, manageriale o finanziaria.
Il terzo argomento sarà pure una coincidenza ma fa pensare parecchio: nei dossier più pesanti sul tavolo di crisi ci sono sempre proprietà e fondi stranieri. La questione imperdonabile è comunque la numero quattro, riguarda - come vedremo più avanti - l’Acc-Wanbao di Mel (Belluno) e questo, per l’assessore regionale alle politiche del lavoro, Elena Donazzan, «deve diventare un autentico casus belli».
In generale, il Veneto delle crisi industriali ha cambiato pelle rispetto a quello conosciuto dal 2010 in poi, quando iniziarono a schizzare in alto milioni di ore di Cassa integrazione straordinaria, spesso in deroga, mentre il mercato produceva una selezione senza precedenti tra chi poteva sopravvivere e chi no. «Adesso – prosegue l’assessore - occorre ripensare profondamente i metodi adottati in passato, perché abbiamo visto che la richiesta di ammortizzatori sociali in Veneto ha ripiegato, nonostante l’ultimo governo avesse reso possibile una loro estensione. Il tessuto della piccola manifattura di qualità si è dimostrato resiliente e si è salvato ma ora, come non mai, occorrono piani industriali chiari ed è evidente che a non trovare più occupazione rimarrà solo il lavoratore generico».
Piani industriali che, però, nei principali focolai di rischio, sono in mano molto spesso a player internazionali. Alcuni esempi? Prendiamo la Grande distribuzione organizzata con le insegne sotto sorveglianza: Auchan, francese, e Mercatone Uno, connotata dalle manovre di una indefinibile società di diritto maltese, la Shernon Holding, responsabile della rovina dell’ultimo anno. Nell’occhialeria il protagonista delle vicende di Sàfilo è il fondo olandese Hal, e i direttori d’orchestra di tutte le altre dinamiche, del tutto nuove e per ora interessanti quanto imprevedibili (rientro dei marchi prima in licenza, operazione Thelios, fusione Luxottica) sono soggetti transalpini come Kering, Lvmh, Essilor.
In ambito alimentare c’è il problema di Unilever e dunque di un’insegna riconducibile a una proprietà anglo-olandese mentre, per andare nel tessile, è sempre britannica la sede di Attestor, il fondo che, tramite Oxy Italia, ora possiede Stefanel, in attesa, a giorni, del pronunciamento dei giudici per capire se l’amministrazione straordinaria potrà salvarla dal fallimento.
«Pensiamo davvero che questi scenari possano essere ancora gestiti con la cassa integrazione di sempre – si chiede Donazzan – o ristrutturiamo dalla base l’unità di crisi, conferendo al ministro dello Sviluppo economico un mandato pieno a battere i pugni sui tavoli internazionali?». In tutto questo ragionamento, la lama che ferisce di più è quella di Acc, la società dei compressori di Mel ceduta ai cinesi di Wanbao nel 2014, dopo il complesso scorporo di una «bad company» e l’accettazione di una pesante riduzione del personale, pur di salvare l’unità produttiva. «La voglio mettere giù durissima - sottolinea Donazzan -: questo è un tema diplomatico e lo ripeterò l’11 settembre nell’incontro in municipio a Mel. Gli acquirenti cinesi si erano impegnati formalmente a sostenere forti investimenti in ricerca e sviluppo di prodotto e per questo erano stati scelti. Abbiamo monitorato ogni fase successiva – prosegue l’assessore – convincendo clienti importanti, come Electrolux, a conservare le commesse». Per dirla in modo chiaro, Wanbao «deve diventare un caso esemplare. Il mio messaggio ai ministeri dello Sviluppo economico, Lavoro, Esteri e alla presidenza del Consiglio è che di fronte a un accordo stracciato unilateralmente dai cinesi dev’esserci una reazione forte, a partire dal confronto sulla Via della Seta».