Insulti alle donne in politica «Denunciamo e uniamoci»
Dall’«orango» a Kyenge a Donazzan sfregiata dalla svastica insanguinata
Cecile Kyenge quando era ministro delle Pari opportunità si prese dell’«orango» (era il 2013) dal leghista Roberto Calderoli, poi condannato a un anno e sei mesi. L’europarlamentare Mara Bizzotto (Lega) ha collezionato sui Social una sequenza di insulti lanciata da «fascisti rossi» tipo: «aborto mancato» (scritto da una donna), «donnetta da quattro soldi», «stretta parente del letamaio». Ad Alessandra Moretti (Pd), tornata al Parlamento europeo dopo la parentesi in Regione, hanno detto di tutto, sui Social e di persona, arrivando perfino ad augurare la malaria ai figli. Facebook non ha risparmiato nemmeno la collega del Pd a Pa
lazzo Ferro Fini, Laura Puppato, che quando annunciò lo sciopero della fame a difesa dello ius soli si prese della «brutta cicciona», della «porca», e subì pure
un «còpate» e un «te fe prima trarte soto un treno». La senatrice trevigiana Paola De Pin scoppiò invece in lacrime in aula sotto il diluvio di improperi («venduta, dimettiti!» e «ti aspettiamo fuori») vomitatole contro dagli ormai ex colleghi del M5S dopo che aveva votato la fiducia al governo Letta. Fu insultata su Fb e ricevette una busta con un proiettile dentro.
Un’escalation di violenza subdola, trasversale contro le donne, in un’epoca in cui in Italia viene ammazzata una donna al giorno. Un odio spesso alimentato dalla politica stessa ed esploso di nuovo in questi giorni. Contro il ministro all’Agricoltura, Teresa Bellanova, «colpevole» di essere arrivata alla terza media, di non esibire un corpo da silfide e di non vestire alla moda, e in modo più preoccupante contro l’assessore al Lavoro, Elena Donazzan (Fratelli d’Italia). Ritratta su Facebook dal Coordinamento studenti medi di Padova con la fronte sfregiata da una svastica insanguinata e incisa con un coltello, in segno di protesta contro la sua partecipazione a un convegno promosso da Casapound a Verona. «Richiamare a uno sfregio sul viso di una donna è il messaggio più violento che si possa lanciare, perché la faccia è il simbolo della femminilità — commenta Donazzan —. E qui non c’entrano destra o sinistra, a un uomo non sarebbe mai stato rivolto un attacco del genere, io sono stata umiliata nella mia femminilità. Non esiste giustificazione e non voglio che esista. Ma non voglio nemmeno avere paura e non accetto culturalmente il frutto di una violenza tollerata, nel silenzio delle donne e della sinistra, fatta qualche eccezione». Per esempio Debora Serracchiani (Pd), ex presidente del Friuli, che su Twitter scrive: «Sono molto distante dalle sue idee, ma questa violenza è inaccettabile. La mia solidarietà a Elena Donazzan». Vicinanza è stata espressa anche da Giorgia Meloni, leader di FdI, e dal governatore Luca Zaia: «Azione grave, che non va derubricata a semplice errore, ma che mi auguro possa essere perseguita nelle sedi adeguate. La sua gravità va oltre il fatto specifico».
«Io non sarò una vittima che tace, ma denuncerò e continuerò la mia vita istituzionale — annuncia Donazzan —. Queste persone vanno arrestate per istigazione alle violenza contro le donne, perché il loro non è odio politico ma umano, rivolto verso chi vogliono cancellare. Andrò fino in fondo, anche capendo chi affitta la sede a Padova agli studenti medi, ed esorto le donne vittime di soprusi a denunciare, a non subire tacendo. Il clima è avvelenato e preoccupante, invito tutti ad abbassare i toni, partendo dalla politica, che altrimenti legittima tali azioni». «Le donne esposte, con un cervello pensante e che portano avanti certe battaglie danno fastidio e scatenano i peggiori istinti — ragiona Moretti —. L’attacco all’assessore mi indigna, ma devo anche dirle che dev’essere la prima a evitare un uso distorto dei social. Lei e Matteo Salvini li hanno utilizzati per deridermi e denigrarmi e se fomenti l’odio, ti torna indietro». «È molto grave la rappresentazione del sangue che cola dalla svastica — spiega la psicoterapeuta Vera Slepoj — perché veicola il messaggio: ti ferisco, ti elimino. E può scatenare l’istinto di passare ai fatti. Quando si legittima la violenza con l’ideologia di salvare il mondo, si entra in un meccanismo che rischia di sfuggirci di mano. In questo caso i fatti sono ancora più gravi perché innescati da studenti: ciò significa che i giovani non sono sensibili alla lotta contro la violenza sulle donne, non rispettano l’altro e la sua diversità, non hanno un senso di responsabilità, nemmeno nell’uso dei Social. Invito le istituzioni — chiude Slepoj — a riflettere e a non sottovalutare la situazione».