Un Chievo internazionale anche in B La metà del gruppo parla straniero
Sedici giocatori stranieri su 30 a disposizione. Il record nel 2011: erano 18
Il Chievo è per metà forestiero. Sedici stranieri da 13 Paesi su una rosa di trenta calciatori. Uno su due, parla un’altra lingua. Il record restano i 18 giocatori nati oltre confine nel Chievo 2011-12 (all’epoca c’era un’insegnante d’italiano in pianta stabile). Oggi siamo lì.
Nel gruppo che ricomincia dalla serie B prevale la Francia (Frey, Karamoko, Leverbe), si batte la Slovenia (capitan Cesar, Pavlev) e poi c’è tutto un giro di ambasciatori singoli: l’Europa dell’est con Semper (Croazia), Djordjevic (Serbia), Ivan (Slovacchia), quella occidentale con Rodriguez (Spagna) e Pina Nunes (Portogallo), quella del nord con Colley (Svezia), il Sudamerica con Burruchaga (Argentina), Ceter (Colombia) e l’Africa con Obi (Nigeria). Fuori elenco le novità, quelli che scrivono nuove pagine dell’album di famiglia: il ventenne Schafer, mezzala, in prestito dal Genoa, appena debutterà diventerà il primo ungherese di sempre nel Chievo, mentre il centrale Vaisanen, arrivato dalla Spal in cambio di Tomovic, è il primo finlandese puro dopo quell’Hetemaj, migrato al Benevento, che in Finlandia aveva trovato nazionalità e riparo dalla guerra nel suo Kosovo. Sedici stranieri sono tanti? Sì, certo che sì. Però va anche detto che, sulla bilancia, il Chievo della ricostruzione sta pendendo molto più sugli italiani.
Sui Rigione, Brivio, Esposito, Segre, Giaccherini, Meggiorini. Tra Perugia ed Empoli, nell’incipit di serie B, si sono visti titolari giusto Djordjevic, Vaisanen e Leverbe, più Rodriguez a gara in corso: di quei quattro, Djordjevic è certo del posto dopo l’addio di Stepinski, Vaisanen dovrà sudarsela con Rigione e Cesar, Rodriguez sarà carta da gara in corso, Leverbe scenderà nelle gerarchie. Gli altri? Obi, Schafer, Frey potrebbero dire la loro. Certo, fa una certa impressione pensare all’ultimo precedente del Chievo in B, annata 2007-2008, quando gli stranieri allo start furono appena cinque (Luciano, Cesar, Obinna, Bogdani, De Paula). Da allora, è cambiato il calcio e con lui il Chievo: gli stranieri costano meno, a volte (non sempre, anzi) sono più pronti degli italiani, infine fanno più «suggestione» mettendo piede nella fantasia del tifoso. I primi, nei 90 anni di storia della società, furono due argentini, Delgado e Petus: era il 1983, li portò Caliendo, debuttarono contro il San Lazzaro in Interregionale ma al netto del cognome in distinta non lasciarono tracce degne di nota.
Chi ne ha lasciate, nel club della Diga, appartiene al presente (Cesar e Frey, undicesimi nella classifica di militanza) ma soprattutto al passato recente: Luciano, quarto di sempre per presenze in gialloblù (316), Hetemaj (nono) e poi i Birsa (Slovenia), Radovanovic (Serbia), Castro (Argentina), prim’ancora i Théréau (Francia), Yepes (Colombia) e Amauri (brasiliano naturalizzato italiano). In tutto, tra i professionisti, i «forestieri» clivensi sono stati 179: con il Sudamerica a primeggiare (22 giocatori dal Brasile, 13 dall’Argentina) quindi Francia (11 giocatori), Serbia (9), Senegal (8), Svizzera e Slovenia (7).