Il labirinto della memoria «Hamburg» esordio di Marco Lupo Un coro di voci tra finzione e realtà Il bombardamento della città, le macerie, i sopravvissuti, l’oblio
Un gruppo di scrittori s’incontra per leggere frammenti di ciò che scrivono, un autore misterioso e un romanzo introvabile trascinano tra le macerie di Amburgo nel 1943, con la città rasa al suolo dalle bombe. Un libraio che osserva, conosce, consiglia, ma anche cela i libri agli occhi di altri. Un neonato sopravvissuto in un bunker sotterraneo, raccoglierà e narrerà la devastazione. Questo (e molto altro) è Hamburg. La sabbia del tempo scomparso (il Saggiatore, 248 pagine, 21 euro), il romanzo d’esordio di Marco Lupo, vincitore del Premio Campiello Opera Prima. Stile, linguaggio e ritmo narrativo di grande potenza e raffinatezza, fanno decollare una storia drammatica e coinvolgente, ricca di riferimenti letterari. Pagine di orrore e poesia.
Marco Lupo, 37 anni, libraio nella vita e già scrittore con il collettivo Terra Nullius, ha rivelato grande talento unito a una profonda cultura umanistica.
Un romanzo che ne contiene molti altri, una ragnatela letteraria che tesse storie e si dipana tra finzione, realtà, incubo, ricordi. Com’è nato?
«Ho scoperto storie clamorose di autori tedeschi, cronache dure, diari di sopravvivenza di quel periodo storico. Sono molte le pagine a cui sono devoto, quasi tutte mi hanno rivelato quello che non riuscivo a capire. L’architettura di Hamburg si costruisce attraverso la lettura e la scrittura dei libri ritrovati, porta una grande varietà di voci, le vittime, i narratori. E’ un romanzo polifonico, meta-letterario, in cui il protagonista è nato sei mesi prima della distruzione della sua società, del suo mondo. Come raccontarlo quindi se non attraverso i frammenti e la memoria di tanti uomini e donne. Il bombardamento di Amburgo è stato anche un momento storico di spartiacque, da allora in poi la distruzione a tappeto delle città non fu più tabù in guerra, diventò la formula vincente dei conflitti. Un passaggio fondamentale della contemporaneità».
Sebald soprattutto, ma anche Bolaño, Trakl, Esterhàzy, Hemingway, Canetti, Brodskij, Kiš, Böll, Schmidt, Grossman e altri: molte le citazioni, le suggestioni, gli autori che spuntano dalle pagine di Hamburg.
«Sono tante le voci di autori che hanno scatenato in me l’ossessione e l’urgenza nel confrontarmi con la memoria. Penso a Schmidt, diceva che non gli interessavano i grandi eventi della storia, ma le vite di chi era stato coperto o deprivato dalla grande storia. Mi appartiene quell’idea di raccontare le vite degli ultimi, le esistenze di chi non è rappresentato nella grande storia. Ho cercato di dare al lettore uno sguardo su vicende che possono ricordare anche l’attualità. Storia come archetipo. Un mondo che non è scomparso, resta sempre accanto a noi, il mondo dei fantasmi in terra».
La letteratura non salva, non sfama, ma tiene insieme parti della grande storia e le piccole storie, è questo il filo conduttore?
«E’ il filo conduttore, ma anche il filo del rasoio. E’ difficile la narrazione di quel momento storico e più voci ci sono, più c’è possibilità di avere un quadro reale d’insieme»
Nella narrazione di «Hamburg» c’è anche la «letteratura delle macerie» di cui fu grande esponente Heinrich Böll, lo smarrimento e la lenta ripresa dopo la guerra.
«Una formula inevitabile in quel momento storico, l’unico modo per raccontare una tragedia e formulare un nuovo linguaggio, affrontando intere generazioni di tedeschi confusi»
Lo stile e il linguaggio del suo romanzo sono stati elogiati da tutti.
«Senza stile e senza lavoro sulla lingua per me non esistono i libri. La letteratura è anche un grande sforzo nei confronti della lingua»