Biennale, rischio fuoco amico su Baratta Ma c’è un piano B
Lontano dagli infingimenti, il presidente della Biennale di Venezia, Paolo Baratta, il cui mandato scade il 20 gennaio 2020 e non è più rinnovabile a meno di una legge ad hoc per raggiunti limiti di mandato, lo ha spiegato chiaramente domenica, nel consueto incontro con la stampa all’indomani della premiazione della Mostra del Cinema di Venezia: no a proroghe di un anno. Perché andrebbero contro «lo spirito che la legge ha voluto introdurre per consentire la continuità nell’ambito delle scadenze pluriennali di ciascuno. Le proroghe non sono coerenti con il nuovo disegno istituzionale».
Tradotto: se si è fatta una legge per impedire che i settori di Cinema, Arte, Architettura, Teatro e Danza dovessero scontrarsi con la scadenza del mandato del
presidente e rimanessero senza direttore in mesi cruciali per l’organizzazione dei festival, che senso avrebbe prorogare Baratta di un anno? Il suo successore si troverebbe poi a dover nominare in corsa i direttori e lo sforzo di riforma fatto quattro anni fa sarebbe vano. E un mandato pieno? Da uomo da molto tempo nelle istituzioni Baratta ha risposto sornione: «Sarebbe arrampicarmi su uno specchio non mio». Dunque che accadrà alla Biennale, fiore all’occhiello delle istituzioni culturali italiane, che la gestione di Baratta ha indubbiamente riportato nel posto che le spetta data la sua storia e ora anche il suo presente? Per il presidente della Regione, Luca Zaia, non ci sono molti dubbi: «Io guardo i fatti - dice - e Baratta ha preso una Mostra del Cinema che non era quella di oggi e l’ha portata al livello di Cannes e di Hollywood. Venezia è diventata il punto di riferimento della cinematografia. Con Alberto Barbera hanno fatto un lavoro strepitoso e squadra che vince non si cambia. Se poi questo governo che non ci è amico pensa di cominciare l’ennesimo teatrino o di scippare ancora una volta il Veneto, vediamo. Trovare un sostituto all’altezza non sarà facile». Vittorio Sgarbi, deputato del gruppo Misto e un passato da curatore del Padiglione Italia durante il mandato di Baratta, dà la sua lettura: «Col precedente ministro sarebbe cambiato di sicuro, con Franceschini, che è per la restaurazione in tutto, lo quoto al 50 per cento. Difficile dia un segno di discontinuità rispetto a se stesso». Fu proprio l’attuale ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini a farsi promotore della legge con la quale si superò quattro anni fa il limite raggiunto dei mandati. Ora, per fare presto, si potrebbe agganciare la nuova legge alla legge di Stabilità. Ma serve la volontà politica. E questa volta Baratta rischia che il fuoco amico arrivi proprio da chi l’ha sostenuto l’ultima volta: nel grande risiko delle poltrone, quella della Biennale è una delle più ambite. E i candidati o i clientes potrebbero essere tanti..
Limite mandati Serve una nuova legge per confermarlo, partita in mano alla politica E lui si schermisce