LA CRISI DI CRESCITA E LE SFIDE
E’come se i produttori di Chianti Classico, la zona storica del rosso lanciato dal barone Ricasoli, rinunciassero al nome perché esiste la zona più vasta del Chianti (non classico). Sarebbe più facile o più difficile vendere le loro bottiglie all’estero?
Quello che sta accadendo in Veneto sul nome Prosecco è una crisi di crescita. Quando nel Dopoguerra Giuliano Bortolomiol si diede da fare per fondare la Confraternita di Valdobbiadene c’erano 1.200 ettari di viti da far rinascere. Le bombe e l’incuria avevano provocato un deserto in campagna, i contadini cercavano vie di fuga. Si viveva, raccontava Bortolomiol nel libro sulla sua vita, in «povertà nera», («Il sogno del Prosecco» di Ettore Gobbato). Il grido di quel battagliero enologo fu: «Porco can! Bisogna fare qualcosa!»). La Confraternita era un insieme di richiami medievali (lunghi mantelli bianchi e spade) e riti goliardici. Ma servì davvero, era l’unico punto di riferimento per i vignaioli, prima della nascita del Consorzio di tutela e della Mostra dello Spumante. Settantatré anni dopo la sua fondazione, la Confranternita e il suo Gran Maestro hanno avviato una consultazione tra i produttori del Prosecco storico nel quale si ipotizza di sostituire la parola Prosecco con il toponimo, ConeglianoValdobbiadene.
Ci si potrebbe interrogare se abbia ancora un ruolo storico la Confraternita, quando esistono altri strumenti, altri sodalizi, altre associazioni imprenditoriali per tutelare sia i produttori sia i consumatori. Si potrebbe anche far notare che esiste una contraddizione tra la volontà di togliere il nome Prosecco e il messaggio della stessa Confraternita nel proprio sito Internet si erge
a «autentica università del Prosecco e lavora per lo sviluppo di un sodalizio tra persone, cantine, territorio e il suo prodotto principe».
Ma restiamo al cuore della questione. Il sistema Prosecco è cresciuto in maniera così rapida e possente negli ultimi dieci anni da aver bisogno di trovare una nuova visione del futuro. Sono aumentate in maniera vertiginosa le bottiglie e i mercati. Sono cresciuti gli incassi, il numero delle cantine, quello dei distributori e anche delle industrie del vino che riescono a farsi confezionare il vino su misura per le grandi catene.
Uno sviluppo così imponente ha trasformato il territorio e fatto lievitare il reddito di migliaia di famiglie.
Non c’è dubbio che serva un nuovo «Porco can! Dobbiamo fare qualcosa!». Ma la strada della rimozione del nome conduce all’autolesionismo. Il Prosecco Superiore ha altre strade per aumentare valore e crescere. Puntare di più sulle Rive, dove si pratica la viticoltura eroica e i vini acquistano carattere. Investire sulla sostenibilità eliminando sempre di più le pratiche inquinanti. Fare in modo di aumentare la longevità dei vini, in modo che il Prosecco non sia solo un vino da bere pochi mesi dopo la vendemmia.
Questo non esclude che ci siano produttori, piccoli o grandi, che preferiscano distinguersi puntando sul luogo di produzione invece che sul nome del vino. Ma che senso avrebbe un’etichetta in cui campeggiasse solo Montalcino invece che Brunello di Montalcino?