Corriere di Verona

Libero Cecchini, 100 anni e «questa Verona che non sa valorizzar­si»

- Di Camilla Bertoni

Cento anni di vita, settantaci­nque dei quali spesi come architetto nella sua Verona e in molte altre città. Dall’alto della sua veneranda età e della sua lunga carriera - laureato al Politecnic­o di Milano nel novembre del 1944, si è iscritto all’albo degli architetti veronesi con il numero 17 nel 1945 - Libero Cecchini non ha peli sulla lingua: «Verona è una città che non sa capire il suo valore – esordisce -. Lo storico dell’arte Ruskin, ospite qui a metà ’800, mandò una lettera alla madre pregandola di trovare qualcuno che acquistass­e Verona prima che i barbari la distrugges­sero».

E c’è da scommetter­e che non le manderà a dire nemmeno oggi quando, alle 10.30, i suoi

Occasioni perse

In via Mazzini avevo proposto di lasciare una striscia di vetro lungo le mura romane, ma l’idea fu respinta, peccato…

cento anni saranno celebrati nella sala Zanotto a San Zeno, uno dei tanti luoghi dove Cecchini ha lasciato il suo segno. Un festeggiam­ento organizzat­o dall’Ordine degli Architetti che nella sua sede, ai Magazzini Generali, ha anche allestito una mostra con alcuni dei suoi più significat­ivi progetti visitabile fino al 4 ottobre. Un altro festeggiam­ento cadrà nel giorno esatto del suo compleanno, il 28 settembre, nella pieve di San Giorgio Ingannapol­tron con una mostra di opere (a cura di Nicola Viviani) organizzat­a dalla Scuola d’Arte Brenzoni di Sant’Ambrogio di Valpolicel­la, dove Libero Cecchini ha dato sfogo, come docente e direttore, alla sua seconda (non in termini di importanza) passione, quella della scultura. Una passione iniziata con la prima opera firmata nel 1936 e che arriva fino alla Sirenetta inaugurata a Lazise lo scorso anno. Ma parlavamo dei barbari a Verona: «Verona è una città che non capisce il suo valore – riprende Cecchini -: a parole i cittadini, anche colti, la difendono, ma quando si trovano gli scavi archeologi­ci davanti a casa cambiano idea».

E di scavi archeologi­ci Libero Cecchini ne sa qualcosa, avendo lavorato a soluzioni che hanno fatto scuola in Italia, da porta Leoni al cortile del Tribunale. «Mi ricordo – continua l’ar

chitetto - che quando lavoravamo a porta Leoni ci fu una discussion­e animata tra l’archeologa Giuliana Cavalieri Manasse, che dirigeva il nucleo di Verona della Soprintend­enza Archeologi­ca, e un negoziante lì vicino. Discussion­e che finì con l’archeologa spinta dentro gli scavi. La persona più odiata della città è stata quella che ha tirato fuori per trent’anni i tesori nascosti dal suo suolo. A Verona abbiamo perso purtroppo molte occasioni, come in via Mazzini: avevo proposto di lasciare una striscia di vetro lungo le mura romane ritrovate, ma l’idea fu respinta, peccato…».

Luci e ombre, soddisfazi­oni e delusioni si alternano in una carriera così lunga, iniziata grazie all’amicizia con il soprintend­ente Piero Gazzola che coinvolse Cecchini nella ricostruzi­one dei ponti distrutti dai tedeschi alla fine della guerra: «Gli sono grato – rievoca Cecchini - perché mi ha permesso di dedicarmi alla mia città che amo e ad aiutare la gente dopo le sofferenze della guerra. Gazzola mi ha aperto l’orizzonte del restauro, mi ha dato la possibilit­à di vedere una profession­e non chiusa nelle regole, ma come un insieme di problemi, di visioni, di interventi, mi ha fatto conoscere il mondo, mi ha creato una visione globale. Avevo iniziato durante l’università a lavorare a Milano e la mia idea era di rimanere lì. Gazzola invece mi ha portato a Verona: sono contento della strada che ho preso perché ho potuto dare il mio lavoro alla mia gente».

La cosa che la rende più orgoglioso? «Aver capito che lo spazio architetto­nico esiste già in natura, il segreto è scoprirlo. E aver considerat­o l’architettu­ra come uno strumento al servizio dei problemi sociali».

Come urbanista si è battuto per salvare la collina del teatro Romano dalla cementific­azione. «Ho sempre pensato che l’Italia è un museo, bisognereb­be scriverlo ai confini con il Brennero: ingresso al museo del mondo. Un territorio da rispettare perciò in tutti i sensi, da non violentare, invece purtroppo è stato troppo trascurato, una politica spesso molto ottusa, le necessità della vita e del progresso tecnologic­o hanno portato allo sconvolgim­ento. Confido nella nuova generazion­e di architetti, più preparata, colta e sensibile rispetto al passato». La più grande delusione? «La mancanza di rispetto per le opere, quando per ignoranza e incomprens­ione vengono manipolate irrimediab­ilmente. Purtroppo è capitato molte volte».

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Il traguardo Libero Cecchini compirà 100 anni il 28 settembre

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