Dal Tocai ungherese all’Amarone quante battaglie per la tutela del vino
L’etichetta che fa la differenza e i tribunali, una storia iniziata negli anni ‘50
non si possono confondere», quello italiano è un vino secco e quello magiaro dolce. Quindi ognuno può commercializzare i vini senza cambiare nome. Ma l’Ungheria non si dà per vinta, negli anni Ottanta crolla il muro di Berlino e nel 1993 raggiunge un accordo con la Comunità economica europea a cui aspira di entrare. L’accordo, viene ratificato poi dall’Organizzazione mondiale del commercio l’anno dopo in Marocco. In Ungheria esiste un paese di cinquemila abitanti a due ore e mezzo di strada da Budapest che si chiama Tokaj. Il Friuli Venezia Giulia deve cambiare nome. Ma la Regione a statuto speciale non si arrende e la giunta retta da Riccardo Illy vara una legge regionale nel 2007 che consente solo in Italia di chiamare il vino con il nome «Tocai Friulano». A Palazzo Chigi c’è Romano Prodi, il ministro agli Affari regionali Linda Lanzillotta impugna la legge, cassata l’anno dopo dalla corte costituzionale. Fine dei giochi, dalla vendemmia 2008 il vino bianco simbolo del Friuli Venezia Giulia non si potrà più chiamare Tocai. Successivi decreti ministeriali diranno che non si potrà nemmeno chiamare «Tai», un nome che avrebbe ricordato le vecchie etichette e soprattutto quella parola friulana che indica il bicchiere di vino da bere per l’aperitivo. Il nome «Tai» oggi è possibile utilizzarlo solo in Veneto, nella Doc Lison-Pramaggiore o in provincia di Venezia nella sua versione a bacca nera, il «Tai Rosso». In Francia, nella regione dell’Alsazia, dove c’era un «Tokai Pinot Gris», hanno vita più facile e decidono semplicemente di chiamarlo «Pinot Gris».
Non ha 60 anni di storia ma 50 in meno la seconda guerra
del vino, tutta circoscritta alla provincia di Verona: è quella dell’Amarone. Si tratta di una battaglia che ha spaccato il Consorzio per la tutela dei vini Valpolicella e le «Famiglie storiche dell’Amarone d’Arte», una società nata nel 2009 e inizialmente composta da 10 cantine, forse le più conosciute per la produzione di questo vino. Era nata con l’obiettivo di potenziare la qualità ed evitare il deprezzamento del prodotto simbolo della Valpolicella. E si è scontrata con il Consorzio proprio sul riferimento alla parola «Amarone» contenuta nel nome della società. Il tribunale delle imprese ha detto che un’associazione privata come quella delle «Famiglie» non può registrare un nome che contiene al suo interno una denominazione di origine protetta. Fine dei giochi anche in questo caso. Oggi l’associazione si chiama «Famiglie storiche», ha dovuto cambiare indirizzo del sito Internet anche se per il simbolo è rimasta una «A» maiuscola, quasi una bottiglia stilizzata, all’interno di un cerchio.
E il Prosecco? La scelta battezzata da Luca Zaia, allora ministro delle Politiche agricole, nel 2009, di creare una grande Doc in Friuli Venezia Giulia e in cinque province del Veneto e due Docg a Conegliano Valdobbiadene e Asolo-Montello, era dettata dalla volontà di collegare il vino già in fortissima ascesa con il paese di Prosecco, quartiere di Trieste sul Carso. E di valorizzare il territorio sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene, che proprio quest’anno hanno festeggiato il cinquantesimo della denominazione (e il riconoscimento Unesco). Scottati dall’esperienza del Tocai, produttori e politici volevano fermare la concorrenza sleale, ad esempio, del Prosek in Croazia, un altro vino dolce, esattamente come dolce era il Tokaij ungherese da cui la guerra del vino è iniziata.