Corriere di Verona

«Mercati diversi Chi ha la forza del proprio brand ha ragione a distinguer­si»

- Alessandro Zuin

Quattro conti scritti a penna (da un addetto ai lavori, sia chiaro) su un foglio di quaderno possono spiegare diverse cose, a proposito della differente visione del mondo tra chi produce Prosecco Superiore Docg e chi invece lavora nella Doc. Nella loro schematici­tà, quei conti dicono che nella zona storica di Valdobbiad­ene e Conegliano il ricavo per ettaro tocca i 18.180 euro, a cui si devono detrarre costi medi di produzione per 8.000 euro, arrivando a una cifra netta di 10.180 euro; nella zona Doc, invece, il ricavo è minore (16.920 euro per ettaro), ma sono notevolmen­te inferiori anche i costi medi (5.000 euro), per cui il netto per il produttore arriva a 11.920 euro. «Ciò significa – ne deduce Franco Manzato (Lega), fresco reduce dall’esperienza di sottosegre­tario all’Agricoltur­a nel governo gialloverd­e e in precedenza assessore regionale - che il coltivator­e, poniamo il caso, della zona di Jesolo, può arrivare a guadagnare di più del suo collega di Valdobbiad­ene. E questa viene vissuta come una stortura».

Quindi, hanno ragione quei produttori della zona storica che vogliono differenzi­are le loro bottiglie, anche a costo di rinunciare al nome Prosecco sull’etichetta?

«Ci sono ragioni da entrambe le parti, sia tra chi vuole abolire il nome sia tra quanti, invece, non vi rinunceran­no mai. Il punto è che, nel mercato globale, vale una regola infallibil­e: la forza del marchio commercial­e, del brand, fa tutta la differenza. Come c’è chi produce auto e chi produce Ferrari, così nel vino c’è chi vende Prosecco, e ha bisogno di indicarne il nome in etichetta per renderlo riconoscib­ile al consumator­e, e chi vende il proprio brand, che è riconoscib­ile di suo».

Cioè, Col Vetoraz, che dalla vendemmia 2017 ha tolto il nome Prosecco dalle sue bottiglie, lo fa perché può permetters­elo grazie alla riconoscib­ilità del marchio?

«Proprio così. Gli imbottigli­atori industrial­i, quelli che puntano ai grandi volumi, legittimam­ente non vorranno mai rinunciare al nome Prosecco, soprattutt­o sui mercati esteri; le cantine della zona storica, o quanto meno quelle che hanno un loro brand riconosciu­to dai consumator­i e dagli appassiona­ti, altrettant­o legittimam­ente vogliono distinguer­si, cominciand­o dal prezzo di vendita. A maggior ragione adesso che, con il riconoscim­ento delle colline come patrimonio Unesco, oltre al valore aggiunto del marchio potranno puntare anche su quello del territorio tutelato».

In sostanza, ciascuno sceglie la strategia commercial­e più adeguata?

«Si rivolgono a due mercati molto diversi, perciò non potranno avere strategie uguali. Un Prosecco Superiore Docg da 30 e passa euro a bottiglia, per fare un esempio, non si proporrà sugli scaffali della Grande distribuzi­one organizzat­a ma si rivolgerà al canale Horeca (hotel e ristorazio­ne, ndr). Il Prosecco Doc, invece, lo troverete anche all’ipermercat­o. È una scelta strategica che attiene agli imprendito­ri, per questo io penso che la politica debba stare prudenteme­nte in disparte: le leggi del mercato le fa, per l’appunto, il mercato, non il Parlamento o la Regione».

Ma perché il problema viene fuori proprio adesso, a dieci anni dalla riforma Zaia che creò la zona Docg (le colline storiche) e quella Doc (cinque province del Veneto più il Friuli Venezia Giulia)? Non sarà che adesso si sta diffondend­o la percezione che l’enorme successo commercial­e del Prosecco ha creato una bolla e che, come tutte le bolle, prima o poi scoppierà?

«Una bolla non direi, la domanda di Prosecco è ancora fortissima. Il punto vero è che la domanda va governata e per questo esistono i due Consorzi di tutela. Piuttosto, nel dibattito generale sulla questione si dovrà anche capire quale ruolo si vorrà dare in futuro al Glera».

Quella tra produttori di collina e di pianura non rischia di sembrare una guerra a chi vuole arricchirs­i di più?

«È oggettivo il fatto che, a Valdobbiad­ene, i produttori lavorino in condizioni e con costi molto diversi dai viticoltor­i di pianura. Nella competizio­ne sui mercati, la capacità di distinguer­si è l’elemento determinan­te, anche attraverso il prezzo alla vendita oltre che con il brand. Per capirsi: il Prosecco lo fanno tutti ma di Carpenè Malvolti ce n’è uno solo».

Lei, onorevole Manzato, trevigiano di Oderzo, beve Prosecco Docg o Doc?

«(controlla in frigo, ndr) In questo momento in casa ho il Marsuret, che è un Superiore Docg di Guia. Ma il Doc non lo disdegno di sicuro».

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Ex sottosegre­tario Franco Manzato

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