«Mercati diversi Chi ha la forza del proprio brand ha ragione a distinguersi»
Quattro conti scritti a penna (da un addetto ai lavori, sia chiaro) su un foglio di quaderno possono spiegare diverse cose, a proposito della differente visione del mondo tra chi produce Prosecco Superiore Docg e chi invece lavora nella Doc. Nella loro schematicità, quei conti dicono che nella zona storica di Valdobbiadene e Conegliano il ricavo per ettaro tocca i 18.180 euro, a cui si devono detrarre costi medi di produzione per 8.000 euro, arrivando a una cifra netta di 10.180 euro; nella zona Doc, invece, il ricavo è minore (16.920 euro per ettaro), ma sono notevolmente inferiori anche i costi medi (5.000 euro), per cui il netto per il produttore arriva a 11.920 euro. «Ciò significa – ne deduce Franco Manzato (Lega), fresco reduce dall’esperienza di sottosegretario all’Agricoltura nel governo gialloverde e in precedenza assessore regionale - che il coltivatore, poniamo il caso, della zona di Jesolo, può arrivare a guadagnare di più del suo collega di Valdobbiadene. E questa viene vissuta come una stortura».
Quindi, hanno ragione quei produttori della zona storica che vogliono differenziare le loro bottiglie, anche a costo di rinunciare al nome Prosecco sull’etichetta?
«Ci sono ragioni da entrambe le parti, sia tra chi vuole abolire il nome sia tra quanti, invece, non vi rinunceranno mai. Il punto è che, nel mercato globale, vale una regola infallibile: la forza del marchio commerciale, del brand, fa tutta la differenza. Come c’è chi produce auto e chi produce Ferrari, così nel vino c’è chi vende Prosecco, e ha bisogno di indicarne il nome in etichetta per renderlo riconoscibile al consumatore, e chi vende il proprio brand, che è riconoscibile di suo».
Cioè, Col Vetoraz, che dalla vendemmia 2017 ha tolto il nome Prosecco dalle sue bottiglie, lo fa perché può permetterselo grazie alla riconoscibilità del marchio?
«Proprio così. Gli imbottigliatori industriali, quelli che puntano ai grandi volumi, legittimamente non vorranno mai rinunciare al nome Prosecco, soprattutto sui mercati esteri; le cantine della zona storica, o quanto meno quelle che hanno un loro brand riconosciuto dai consumatori e dagli appassionati, altrettanto legittimamente vogliono distinguersi, cominciando dal prezzo di vendita. A maggior ragione adesso che, con il riconoscimento delle colline come patrimonio Unesco, oltre al valore aggiunto del marchio potranno puntare anche su quello del territorio tutelato».
In sostanza, ciascuno sceglie la strategia commerciale più adeguata?
«Si rivolgono a due mercati molto diversi, perciò non potranno avere strategie uguali. Un Prosecco Superiore Docg da 30 e passa euro a bottiglia, per fare un esempio, non si proporrà sugli scaffali della Grande distribuzione organizzata ma si rivolgerà al canale Horeca (hotel e ristorazione, ndr). Il Prosecco Doc, invece, lo troverete anche all’ipermercato. È una scelta strategica che attiene agli imprenditori, per questo io penso che la politica debba stare prudentemente in disparte: le leggi del mercato le fa, per l’appunto, il mercato, non il Parlamento o la Regione».
Ma perché il problema viene fuori proprio adesso, a dieci anni dalla riforma Zaia che creò la zona Docg (le colline storiche) e quella Doc (cinque province del Veneto più il Friuli Venezia Giulia)? Non sarà che adesso si sta diffondendo la percezione che l’enorme successo commerciale del Prosecco ha creato una bolla e che, come tutte le bolle, prima o poi scoppierà?
«Una bolla non direi, la domanda di Prosecco è ancora fortissima. Il punto vero è che la domanda va governata e per questo esistono i due Consorzi di tutela. Piuttosto, nel dibattito generale sulla questione si dovrà anche capire quale ruolo si vorrà dare in futuro al Glera».
Quella tra produttori di collina e di pianura non rischia di sembrare una guerra a chi vuole arricchirsi di più?
«È oggettivo il fatto che, a Valdobbiadene, i produttori lavorino in condizioni e con costi molto diversi dai viticoltori di pianura. Nella competizione sui mercati, la capacità di distinguersi è l’elemento determinante, anche attraverso il prezzo alla vendita oltre che con il brand. Per capirsi: il Prosecco lo fanno tutti ma di Carpenè Malvolti ce n’è uno solo».
Lei, onorevole Manzato, trevigiano di Oderzo, beve Prosecco Docg o Doc?
«(controlla in frigo, ndr) In questo momento in casa ho il Marsuret, che è un Superiore Docg di Guia. Ma il Doc non lo disdegno di sicuro».