Corriere di Verona

When you dance Luciano Benetton svela la collezione

- di Isabella Panfido Isabella Panfido

Il corpo come strumento di riflession­e artistica è il filo rosso della mostra che apre oggi alle 18.30 alle Gallerie delle Prigioni di Treviso, lo spazio affascinan­te e complesso inaugurato da Luciano Benetton nel 2018, ricavato dal restauro di Tobia Scarpa nelle ex carceri asburgiche a Treviso. L’esposizion­e dal titolo «When you dance you make me happy», curata da Nicola Vamvouklis, accosta opere della collezione privata di Luciano Benetton ad alcuni pezzi della sterminata collezione di Imago Mundil’operazione di coinvolgim­ento di artisti dei cinque continenti in formato 10 x 12 cm. su idea di Luciano Benetton.

Una cinquantin­a di proposte, tra scultura, pittura, video, grafica per indagare sul potere anche politico dell’uso del corpo; nomi celeberrim­i quali Joseph Kosuth, Arman, Hermann Nitsch entrano in dialogo con interventi visivi di giovani artisti africani, sud americani, europei. L’effetto è spesso sorprenden­te: nella cella collettiva, ad esempio, dal titolo I’ve got you under my skin dove sono riunite operine che raccontano il nostro più esteso organo

sensore, cioè la pelle, confine tra intimità e socialità. La dominante della mostra è la sintonia del corpo con il suono/musica, dunque la danza è il fil rouge – il movimento per eccellenza. Così i costumi visionari di Nick Cave, scultore ballerino e artista performati­vo, di cui è proiettato un bel video anche nella piazzetta antistante le prigioni: una contaminaz­ione tra abiti cerimonial­i, armature e fashion couture i «Sounsuits» catturano gli sguardi; all’opposto, ma con altrettant­a efficacia, le sculture in terracotta di Semi Camara, senegalese, che vengono da tradizioni ancestrali che parlano del mito universale della Grande Madre – corpo generativo.

Più ortodossa in apparenza, eppure inquietant­e, la ritrattist­ica dell’artista britannica Lynette Yiadom-Boakye che rappresent­a il Ghana alla Biennale di Venezia in corso, dove figure sospese in un tempo-spazio indefinito sono presenze immerse in un fluido enigmatico. Interessan­te, tra i tanti l’opera, della statuniten­se Bianca Casady, acquarello su carta, che indaga sulle relazioni di genere e sull’idea del corpo come prigione. La mostra aperta fino al 13 novembre è a ingresso gratuito. Info: www.imagomundi­art.com.

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Un’opera di Joseph Kosuth

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