LA CULTURA CHE MUOVE LA CRESCITA
La cultura veneta dell’export vive forti emozioni andando su e giù sull’ottovolante. Nel 2017 l’eccitazione di volare altissimo indusse a magnificare il trio Prosecco Manifattura-Startup, cantore delle esportazioni italiane. Poi, si ebbe la sensazione di vertigine da discesa, osservando le vendite all’estero delle imprese emilianoromagnole in crescita nel 2018 del 5,7% a fronte del 4,3% del Nordest. In valore pro-capite dell’export, l’Emilia-Romagna si è trovata davanti al Veneto: 14.245 euro contro 12.908. Nel primo semestre 2019, gli scricchiolii dell’export della metalmeccanica bolognese in contrazione dell’1,3% sono stati avvertiti come onde sismiche propagatesi nel Nordest. La cultura, tuttavia, non può limitarsi alla corsa sulle montagne russe dei dati congiunturali. Il suo compito va ben oltre il gioco dei numeri del momento, per mettersi sulle orme di David Hume, il filosofo scozzese sostenitore «dell’incremento di commercio e ricchezze in qualunque nazione, che, di solito, stimola l’arricchimento e il commercio di tutti i suoi vicini». I presupposti non mancano. In vista dell’Expo 2020 a Dubai, la città-stato dell’età digitale con finestre rinascimentali aperte sull’Asia, le piccole e medie imprese venete hanno intrecciato più fitti rapporti commerciali con gli Emirati Arabi. Dalle sponde arabe del Mar Persico, lungo una delle direttrici della Via della Seta, Dubai avvicina a noi i mercati indiani, cinesi e giapponesi.
Per affrontarli in una prospettiva profonda, c’è da migliorare molto la capacità della società veneta, ancor prima dell’economia, di far circolare virtuosamente insieme merci, servizi e persone: in definitiva, mobilitare la cultura a tutto tondo. Lungo le nuove rotte commerciali, terreno d’incontro tra il potere dei numeri e la forza dell’immaginazione, tra la presunta precisione dell’uomo economico e l’imperfezione dell’uomo immaginativo, la cultura disegna le infrastrutture materiali e immateriali per
facilitare la mobilità dei giovani istruiti. Studenti asiatici intravedono nelle opportunità imprenditoriali per lo sviluppo sostenibile la strada maestra delle loro aspirazioni professionali, da realizzare insieme ai coetanei europei. È anche nostra responsabilità facilitare gli incontri culturali tra le nuove generazioni di diversa provenienza. Basti pensare alla gioventù cinese che già conosce il Nordest, o si appresta a farlo. Sono per lo più studenti universitari, con un livello d’istruzione superiore rispetto ai loro genitori. Lo scambio culturale tra loro e i nostri studenti contribuisce notevolmente alla diffusione dell’immagine nordestina in Cina. Da quegli incroci, infatti, emergono le figure dei giovani ambasciatori delle eccellenze naturali, artistiche e manifatturiere che ci contraddistinguono. Riprendiamo, allora, l’esperimento che nel gennaio 2017 vide coinvolti a Padova gli studenti cinesi di Strategie di Comunicazione, i quali, bendati, ricevettero l’abbraccio dei passanti. Un bel modo per superare i pregiudizi. E si investa per la crescita della sede padovana dell’Istituto Confucio, frutto della collaborazione tra l’Ateneo e l’Università di Guangzhou, e nel Collegio di Cina a Bologna, affinché si possano realizzare i sogni giovanili di imprese transculturali nel segno dell’economia ecologica. Per evitare all’export di correre sulle montagne russe, non c’è miglior guida del processo che muove stili di vita, valori, beni e servizi da una cultura a un’altra. A questo processo potremmo dare il nome di HaiMin, lo studente cinese tornato a Padova per proseguire gli studi, il quale si è così espresso su Radiobue.it, webradio universitaria: «E’ fantastico per me, non avrei mai pensato che sarei potuto tornare a Padova, ma è successo! Quando sono qui, vedo chiese maestose e paesaggi bellissimi e sono felice».