Travolto da un ubriaco torna a camminare «Il mio bimbo salvato dal vostro amore»
Marostica, una protesi per il piccolo Thiago. La mamma: «Soldi, ferie e aiuti da tutta la comunità»
Di fronte a chi la definisce una donna forte, Raisa scrolla le spalle e risponde che «quando tuo figlio lotta per sopravvivere, tu non puoi permetterti il lusso di mollare». Suo marito Elidon Kraja sorride. «Ci sono stati momenti difficili. Ora va meglio…».
Lei ha 28 anni e lavorava come commessa in un locale di Marostica, fino a poco prima dell’8 marzo. Una vita fa. Perché quel giorno - era un venerdì - Raisa era ai giardinetti con la madre e con Thiago, il suo bimbo di 14 mesi. «È stato un lampo. Ho sentito il botto e subito dopo una forza che mi sollevava e mi spingeva in avanti, e ho visto il passeggino volare via…». A travolgerla era stato il camioncino guidato da Pietro Dal Santo, un artigiano di Thiene che stava fuggendo a un posto di blocco. Era ubriaco fradicio: nel sangue gli hanno trovato una percentuale di alcol quattro volte superiore al limite. «Ho visto Thiago a terra. Mi sono trascinata fino a lui, volevo prenderlo in braccio ma una donna mi ha detto di non toccarlo, di lasciar fare ai medici. Subito dopo è arrivato un vigile. Ricordo di averlo sentito parlare al telefono e dire: “Il bimbo ha la gamba mutilata”. L’ho saputo così».
All’epoca il caso finì sui telegiornali e la storia del piccolo Thiago e del suo piedino destro strappato via da un camion impazzito commosse l’Italia. «E pensare che solo pochi giorni prima aveva fatto i suoi primi passi», ricorda Elidon. Sei mesi dopo, la famiglia Kraja sta lentamente guadagnando un po’ di equilibrio. E oggi Thiago è tornato a camminare.
«Quando lo trasportarono all’ospedale di Padova – racconta la mamma – ci dissero che poteva morire da un momento all’altro. Ma il mio bambino è un combattente, ha tenuto duro, è un sopravvissuto». Dopo un paio di mesi e diversi interventi, il piccolo è stato trasferito al centro di riabilitazione «La Nostra Famiglia» di Conegliano. E anche lì, giorno e notte, con lui c’era Raisa. Mentre il papà era costretto a fare il pendolare tra Marostica e la clinica trevigiana.
Elidon ha 31 anni e lavora come operaio alla Pedon Spa, una grossa impresa che fa capo al vicepresidente di Confindustria Vicenza, Remo Pedon. «Dopo l’incidente - rivela - i miei colleghi comunicarono all’azienda l’intenzione di cedermi le loro ferie, in modo da consentirmi di seguire la riabilitazione di Thiago. La proprietà rispose che non serviva: mi avrebbe pagato ugualmente lo stipendio, anche se non andavo al lavoro. E così è stato per quasi sei mesi, visto che sono tornato al mio posto solo da pochi giorni. Non riesco neppure a spiegare quanto io sia riconoscente alla Pedon».
Anche per questo, dopo un lungo silenzio, hanno accettato di raccontare come sono cambiate le loro vite: «Vogliamo dire a tutti che ci siamo sentiti avvolti dal loro amore», dice Raisa. «Ai medici, che sono stati straordinari: li ho visti piangere di fronte ai progressi di mio figlio. Alla gente di Marostica, che ha mandato messaggi affettuosi e che ora, quando la incontro, mi abbraccia e mi trasmette tanta forza. Al nostro avvocato, ma anche alla fondazione Volksbank che ha raccolto donazioni per oltre 30mila euro, fondamentali per affrontare le spese di questi mesi».
E mentre in tanti si mobilitavano, Thiago imparava a fare i conti con le conseguenze dell’incidente. «Sul letto dell’ospedale, si tastava la gamba cercando il piedino…». In un centro specialistico a Budrio (Bologna) hanno lavorato per costruirgli la sua prima, minuscola, protesi. Così, da quattro settimane il bimbo ha un piedino nuovo.
«L’arto - spiega il papà - è di un materiale simile alla plastica e si aggancia al moncone, appena sotto al ginocchio. A Conegliano gli hanno insegnato a utilizzarlo e oggi Thiago è tornato a stare in piedi. La mattina, appena si sveglia, indica la protesi: come tutti i bambini della sua età non vede l’ora di mettersi a camminare in giro per la stanza e a giocare». Gli specialisti hanno fatto capire ai genitori che dovrà sostituirla periodicamente. All’inizio, seguendo la crescita del piccolo, ogni sei mesi. «Poi meno frequentemente, ma comunque dovrà cambiare l’arto fino a ottant’anni», dice Raisa. «È ovvio che l’incidente ci ha segnati per sempre, ma se Thiago conserverà la forza che ha dimostrato finora, sono convinta saprà costruirsi una vita piena e felice».
Intanto, a 15 chilometri di distanza, Pietro Dal Santo è nella sua casa di Thiene: dopo tre mesi in carcere, è finito agli arresti domiciliari. Ha chiesto la «messa alla prova», che gli avrebbe consentito di cavarsela senza una condanna, ma il giudice ha risposto picche e quindi il processo, con rito abbreviato, si chiuderà il 22 ottobre in tribunale a Vicenza. Nonostante abbia annunciato l’intenzione di rivolgersi a un Centro che cura la dipendenza dall’alcol, difficilmente eviterà la condanna.
«Se il magistrato avesse concesso la messa alla prova sarebbe stata una beffa inaccettabile», dice l’avvocato Giuseppe Padovan, che dall’inizio di questa vicenda assiste la famiglia, non solo dal punto di vista legale. «Per chiunque, come me, abbia dei figli, è impossibile rimanere indifferenti al dramma di Thiago e dei suoi genitori. Per fortuna ci sono tutte le premesse perché sia fatta Giustizia».
L’investitore ha scritto una lettera in cui chiede scusa: «Sono profondamente addolorato per ciò che è successo…». Raisa però scuote la testa: «Sembra dettata dal suo difensore. Comunque non potrò mai perdonarlo per ciò che ha fatto al mio bambino». Infine, una promessa: «Il giorno della sentenza saremo in quell’aula di tribunale». Invece Thiago non ci sarà. «Lui deve pensare a giocare».