Isgrò, le «cancellature» che rigenerano il mondo
Alla Cini un’antologica celebra l’artista: le sue opere sono state ispirate anche dall’esperienza giornalistica veneziana. «Non distruggo, ricostruisco nuovi testi»
«Emilio Isgrò», la mostra antologica, che è conferma e sorpresa, dedicata al geniale artista siciliano apre oggi all’Ala Napoleonica della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, a San Giorgio. Curata da Germano Celant in collaborazione con l’Archivio Emilio Isgrò celebra il ritorno della grande «cancellatura» in laguna, dopo 55 anni. Con una vena di ironia Isgrò preferisce glissare sugli anni trascorsi dalla sua prima esposizione avvenuta a Venezia nel 1964, ma è solo un vezzo: il Maestro del segno di negazione/affermazione è consapevole che la sua impronta nell’arte non teme invecchiamento. E l’ampia esposizione, grazie anche alla sfida di un allestimento di forte impatto di segno e senso, testimonia della intelligenza critica di un artista che nella sua lunga navigazione artistica (non è un caso se i pannelli dell’allestimento siano tratti dall’opera cancellata Moby Dick di Melville) ha attraversato tutte le possibili declinazioni della parola - in principio era il Verbo- nascendo Isgrò come poeta, scrittore, giornalista, drammaturgo. E proprio qui a
Venezia, da caporedattore della cultura al Gazzettino di Giuseppe Longo, costruendo titoli e elaborando testi propri e di altri (diceva Isgrò delle faticose redazioni di articoli di Comisso, tutti pasticciati di freghi e riscritture) per la composizione a stampa, nasce la visione della cancellatura come linguaggio, come mobilitazione dell’attenzione. La sua poesia che per breve tempo è inclusa nel movimento della poesia visiva ma che presto ne prende distanza è generatrice di un linguaggio che comprende in sé distruzione e ricostruzione: da qui la cancellatura che- come ribadisce Isgrò - non è stile ma sguardo sul mondo, Weltanschauung. Tra il centinaio di opere in esposizione– alcune
notissime come Jacqueline del 1965, dove la didascalia diventa essa stessa immagine per reazione al dominio delle immagini sulla parola- lo sguardo registra il ticchettio dei tratti neri su bianco e poi si addentra negli interstizi bianchi e le rare lettere emerse, per scoprire l’ironia e il controllo del testo. Isgrò afferma che spesso un’opera si trasforma in itinere: «Un eccesso di intelligenza non aiuta l’arte, a volte l’artista deve saper tradire le proprie premesse».
È, quella di Isgrò, un’arte di guardia, arte sentinella capace di allertare contro i pericoli di banalizzazione, di perdita di senso. Nel tempo la cancellatura si arricchisce di velature, effetti sottili di morsure di inchiostri, per modulare e restituire senso nuovo al testo. In mostra opere celeberrime quali Il Cristo cancellatore del 1968 in 38 volumi dove si legge «l’editore avverte che queste pagine sono state cancellate da Gesù Cristo» dal Pompidou di Parigi, o il Dittico rosso
1974 dedicato a Marx e Hengels, fino alle più recenti concentrazioni o pellegrinaggi di formiche, evoluzione del tratto di cancellatura, ingresso dell’elemento naturale minimo, fragile e caparbio come è una formica. Anche le api entrano nella cosmologia come segno grafico mobile, materiale per la scrittura verbovisiva sempre metamorfica, inquieta, fremente. L’ultima sala, di opere recenti, ruota intorno a un enorme mappamondo dove tra oceani e continenti nulla è leggibile tranne la nostra fragilissima, umiliatissima e incancellabile (speriamo) Venezia. Mostra aperta fino al 24 novembre ogni giorno tranne il mercoledì. Info www.cini.it.