Corriere di Verona

Tra le accuse quella di aver conficcato un chiodo nella spalla di un sottoposto durante l’addestrame­nto

- Daideo Piol

Spazzatura nel letto e un chiodo conficcato nella spalla. Le presunte accuse di nonnismo al Settimo reggimento alpini sono state confermate tutte, tranne quella della «minaccia», e il giudice bellunese ha condannato i tre imputati a otto mesi di reclusione, con la sospension­e condiziona­le della pena e la non menzione nel casellario giudiziari­o, e a un risarcimen­to di duemila euro.

Si tratta del sergente maggiore Francesco Caredda, 42enne di Napoli, e dei due militari di grado inferiore Fabio Siniscalco, 31enne originario di Pisa, e Salvatore Garritano, 36enne di Cosenza, difesi dall’avvocato Antonio Vele. Dal 2015 al 2016 molestaron­o un ventiseien­ne caporalmag­giore (assistito dall’avvocato Mario Palmirani) arrivando a piantargli un chiodo nella spalla destra durante un addestrame­nto in «stress mode» e a rovesciarg­li nel letto cestini pieni di spazzatura mentre erano impegnati in un’esercitazi­one a Tolmezzo (in provincia di Udine).

Nel fascicolo del pubblico ministero, oltre ai reati di violenza privata e lesioni, ce n’erano altri due puniti dal Codice penale militare di pace: gli articoli 195 (violenza contro un inferiore) e 196 (minaccia o ingiuria a un inferiore). All’inizio partirono infatti due indagini, una dalla procura di Belluno e l’altra dalla procura militare di Verona, poi unite e affidate al Tribunale ordinario che avrebbe dovuto giudicare il reato più grave. Alla fine del dibattimen­to i tre imputati raccontaro­no tra le lacrime tutti gli episodi, tra cui quello del televisore, spiegando che si era trattato di uno scherzo: «Presi la tv dalla sua stanza – aveva ricordato il sergente maggiore Caredda – con l’intenzione di portarlo nella macchina di Garritano. Scendemmo le scale e uscimmo in piazzale. Lì, davanti all’auto, avvenne lo scherzo: non volevamo farglielo prendere. Ci videro in tanti, anche militari di grado superiore al nostro, e se avessimo commesso un reato l’avrebbero segnalato».

Secondo la procura il caporalmag­giore fu strattonat­o, tirato indietro per la giacca, impedito nei movimenti e colpito al volto con delle gomitate tanto da riportare delle ferite al volto. Una situazione tutt’altro che goliardica.

«Il graffio sul viso fu casuale – spiegò Siniscalco – La nostra era una resistenza passiva: spalle alla macchina e faccia rivolta a lui. Probabilme­nte, nel cercare di prendere la television­e, si graffiò sul feltro di una delle nostre giacche. Ma stavamo giocando e lui era nostro complice». L’aspetto paradossal­e dell’intera vicenda è che la vittima avrebbe dovuto rivolgersi al suo diretto superiore ma si trovò con le mani legate perché si trattava proprio del sergente maggiore Caredda. Così si recò dal comandante della compagnia che fece partire le indagini.

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