«Pane e Ferro», il ‘900 degli umili a Nordest
Il nuovo romanzo di Massimiliano Santarossa: dai campi alle fabbriche
«APaesenovo, nel Cinquantanove, tutto era Medioevo, ancora». Inizia così Pane e Ferro, Il Novecento, qui da noi, il nuovo romanzo di Massimiliano Santarossa, scrittore di Pordenone. Un’epopea famigliare che narra le storie di contadini e operai di un piccolo borgo tra Veneto e Friuli, Paesenovo appunto, luogo d’invenzione, microcosmo di poche anime ai margini della Pianura Padana, «terra di ghiaia, acqua, vento e pioggia, di pietre che nei millenni hanno consegnato vita alla polvere».
Santarossa torna a pubblicare dopo tre anni per Edizioni Biblioteca dell’Immagine. Focalizza lo sguardo sugli ultimi della storia: «I metalmezzadri, donne e uomini con la schiena piegata sulla terra da coltivare e i corpi nel ferro da costruire - spiega l’autore - , infaticabili servitori del mais di cui cibarsi e del metallo con cui mantenersi».
Precisa: «Questo non è un romanzo autobiografico, nè biografico della mia famiglia. Anche se mia madre e mio padre furono contadini-operai, dei metalmezzadri. E divisero anch’essi la propria vita tra il Cotonificio Veneziano di notte e i campi di giorno, contribuendo allo sviluppo industriale italiano, il più impetuoso dell’intero continente europeo, degli anni Cinquanta e Sessanta. La storia di Pane
e Ferro va dall’alba del 1895 al tramonto del 1999, racconta di nonno, figlio, nipote. Il «Patriarca», vecchio, mangiato dalla fatica, poi Enea, «il moccioso» e voce narrante, «uguale agli altri mocciosi di ogni altro paese contadino... un plotone di piccole scimmie morse dalla tarantola: mai fermi, di continuo agitati, rincorsi tra i campi da madri nervose e nonne desolate», la mamma, il padre che detesta la mamma «e metterebbe lei in stalla al posto delle bestie». E tutti gli altri personaggi che popolano quel territorio a Nordest. Da lì, dall’inizio, le piccole storie dentro la «Grande Storia» scorrono come in una sorta di cerchio, dalla terra alla fabbrica, dalla povertà arcaica del mondo contadino alle nuove forme di povertà. Un pezzo d’Italia che parte dal passato e arriva all’oggi, setacciata dallo sguardo di Santarossa, quasi un’ossessione la sua, quella di sviscerare il Novecento. Così come nel precedente Padania (sempre Edizioni Biblioteca dell’Immagine), l’alternanza della ricerca è tra il saggio storico e il romanzo. La narrazione di Santarossa s’insinua tra gli ultimi, guarda dentro le anime crepate, fiuta il dolore, la fatica, lo spaesamento. La sua è una letteratura che porta in scena i drammi quotidiani, attraverso cui sono passati tutti, anche se in epoche storiche diverse. Il Nordest, che ha raccontato anche a teatro, tra parole, musica e immagini con Pablo Perissinotto, è visto come un vorace corpo a più arti e qualche testa: i giganti produttivi, gli Zanussi, i Zoppas, i Benetton, il Mose, i centri industriali, le banche venete «i lupi economici e finanziari». Pane e Ferro è un romanzo di denuncia, com’è caratteristica di Massimiliano Santarossa. Spiega: «Il Nordest locomotiva d’Italia è un treno che ha travolto storia, tradizioni, territorio, natura e con essi uomini e donne che avrebbero in questi ultimi decenni meritato ben altro, cioè meno progresso industriale e più progresso umano». Santarossa presenta il libro a Pordenonelegge domenica 22 al Ridotto del Verdi (ore 15.30).